TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE Il Tribunale riunito in Camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dr. Luciano Trovato, Presidente; dr.ssa Silvia Chiarantini, giudice relatore; dr.ssa Sofia Ciuffoletti, giudice onorario; dott. Francesco Miniati, giudice onorario. Ha emesso la seguente ordinanza. Visto il ricorso, presentato in data 5 febbraio 2019 da R. B., nata a ... rappresentata e difesa dalla prof.ssa avv. Beatrice Ficcarelli del Foro di Firenze (PEC: beatrice.ficcarelli@firenze.avvocati.it) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in Firenze, via Machiavelli n. 7, con cui, dichiarata la propria disponibilita' ad adottare un minore straniero, ha chiesto, in via preliminare e pregiudiziale rispetto all'espletamento di qualsiasi attivita' istruttoria, che questo Tribunale, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione sollevi la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 29-bis, legge n. 184/1983, al fine di far dichiarare tale norma costituzionalmente illegittima per contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione (quest'ultimo con riferimento all'art. 6 CEDU), nella parte in cui non prevede che anche la persona non coniugata residente in Italia o, quanto meno, il cittadino italiano non coniugato residente in Italia, possa presentare dichiarazione di disponibilita' ad adottare un minore straniero al Tribunale per i minorenni del distretto in cui ha la residenza e chiedere che lo stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione. La ricorrente ha chiesto, inoltre, all'esito della pronuncia positiva della Corte costituzionale, che il Tribunale per i minorenni di Firenze valuti l'istanza di dichiarazione di idoneita' all'adozione da lei medesima presentata. Fatto La ricorrente e' cittadina italiana non coniugata, con lavoro a tempo indeterminato (nominata magistrata ordinaria con decreto ministeriale 2 ottobre 2009). Non ha pendenze penali di sua conoscenza e ha eseguito gli esami medici chiesti dal Tribunale per i minorenni di Firenze, con esito negativo. Ha inoltre sostenuto la visita medico-legale che ne ha accertato la sana e robusta costituzione psicofisica. Il nucleo familiare di origine e' composto dai due genitori, M. S. (nata a ...) e A. B. (nato a ...) e dalla sorella D. B. (nata a ...), professoressa associata di letteratura moderna e contemporanea presso l..., non coniugata e senza figli. Tutti i componenti del nucleo familiare conoscono e supportano il progetto adottivo della ricorrente e sono stati informati anche della circostanza che il buon esito dell'istanza presentata dalla odierna ricorrente richiede la rimessione degli atti alla Corte costituzionale e un contestuale giudizio di costituzionalita'. Tutti i componenti del nucleo hanno prestato dichiarazione di consenso. Anche sotto il profilo della consapevolezza del progetto adottivo, delle caratteristiche personologiche/psicologiche della B. e, quindi, dell'attitudine ad adottare, a seguito di apposita indagine psico-socio-familiare, (vedi relazione dei Servizi socio sanitari del 22 ottobre 2020) e' emerso un quadro rassicurante. Si sottolinea in modo particolare, infatti, la sua capacita' riflessiva, di adattamento e di flessibilita' e la determinazione della stessa nell'affrontare le problematiche che nel corso della vita si possono presentare, fondata sul rispetto degli impegni assunti e sulla volonta' di raggiungere gli obiettivi basati su sani valori trasmessi dalla famiglia. La B. ha rivelato di aver sempre aspirato ad una famiglia comprensiva di un figlio adottivo, cio' anche a prescindere dalla possibilita' di avere un figlio biologico. Tale aspirazione, maturata quando era in coppia, e' rimasta ed e' stata coltivata anche dopo la separazione dal partner e, percio', nella condizione di single. Ella infatti, ha partecipato anche ad un corso di preparazione all'adozione presso il Centro adozioni di Firenze, interessandosi e approfondendo la tematica sulla possibilita' di adozione da parte di persone non coniugate. Da qui la presentazione della domanda per la dichiarazione di sua idoneita' e la contestuale istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, legge n. 184/1983 secondo i profili di seguito illustrati. Non ha minimizzato la portata della responsabilita' che dovrebbe assumersi con l'arrivo di un bambino in adozione, coinvolgendo come detto anche la rete familiare e si e' mostrata fiduciosa nell'aiuto delle istituzioni preposte oltre che disponibile a modificare le sue priorita' e le sue abitudini in relazione alle esigenze del bambino. E infatti, e' stato valutato dagli operatori anche specialistici che ella possiede le caratteristiche di sensibilita', empatia, disponibilita' affettiva-relazionale ed e' in grado di comprendere ed accogliere le necessita' di un bambino derivanti da situazioni di abbandono. Inoltre, la ricorrente si presenta adeguata e fortemente motivata per far fronte alle sfide dell'adozione. Diritto Sulla richiesta preliminare di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1, legge 4 maggio 1983, n. 184. La ricorrente prefigura il giudizio di costituzionalita' come giudizio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, individuato, infatti, come primo parametro di riferimento della declaratoria di incostituzionalita'. I. In relazione all'art. 3 della Costituzione In particolare, la ricorrente sostiene la violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 29-bis, comma 1, legge n. 184/1983, basandosi sulla norma di cui all'art. 36, comma 4, legge n. 184/1983 (considerato l'elemento cosiddetto tertium comparationis), norma che prevede che: «L'adozione pronunciata dalla competente Autorita' di un paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, purche' conforme ai principi della Convenzione». Il contrasto, ad avviso della ricorrente, deriverebbe dal diverso trattamento riservato dall'ordinamento a situazioni supposte analoghe: l'art. 29-bis, comma 1 preclude, infatti, ai cittadini italiani non coniugati residenti in Italia di poter ottenere la dichiarazione di idoneita' all'adozione, al fine di poter perfezionare all'estero il procedimento di adozione di un minore straniero, mentre l'art. 36, comma 4 consente ai cittadini italiani (anche non coniugati) che risiedono all'estero da almeno due anni, di ottenere un provvedimento del Tribunale per i minorenni che riconosca piena efficacia all'adozione avvenuta nello Stato estero, sulla base della verifica di conformita' con i principi stabiliti dalla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993 e ratificata dall'Italia con legge 31 dicembre 1998, n. 476. Secondo la ricorrente, la suddetta Convenzione implicherebbe il riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano delle adozioni da parte di una persona non coniugata abitualmente residente nello Stato di accoglienza, in base al tenore letterale dell'art. 2 della stessa Convenzione, che recita: «La Convenzione si applica allorche' un minore, residente abitualmente in uno Stato contraente ("Stato d'origine") e' stato o deve essere trasferito in un altro Stato contraente ("Stato di accoglienza"), sia a seguito di adozione nello Stato d'origine da parte di coniugi o di una persona residente abitualmente nello Stato di accoglienza, sia in vista di tale adozione nello Stato di accoglienza o in quello di origine.». Tuttavia, nella ricostruzione della ricorrente, il legislatore italiano, nel ratificare la Convenzione, avrebbe introdotto l'art. 29-bis, comma 1, in diretto contrasto con i principi della Convenzione dell'Aja del 1993, stabilendo che soltanto «Le persone residenti in Italia, che si trovano nelle condizioni prescritte dall'art. 6 e che intendono adottare un minore straniero residente all'estero, presentano dichiarazione di disponibilita' al Tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneita' all'adozione», agganciando quindi tale previsione ai criteri dell'art. 6 della legge n. 184/1983, che permette l'adozione soltanto ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni tra i quali non sussista separazione personale neppure di fatto e che siano idonei. II. In relazione agli articoli 24 e 117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione all'art. 6 Convenzione EDU) Ad avviso della ricorrente, la norma in oggetto sarebbe, infine, in contrasto con gli articoli 24 e 117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione all'art. 6 Convenzione EDU), in quanto precluderebbe alla persona residente in Italia non coniugata di chiedere all'Autorita' giudiziaria l'accertamento dei requisiti prodromici alla dichiarazione di idoneita' all'adozione e quindi di far valere i propri diritti in un giusto processo, dove questi possano essere adeguatamente ed esaurientemente esaminati. Esame delle questioni I. Primo parametro di costituzionalita': art. 3 della Costituzione e giudizio di comparazione tra art. 29-bis, comma 1, legge n. 184/1983 e art. 36, comma 4, legge n. 184/1983 In relazione al primo parametro costituzionale invocato, l'art. 3 Costituzione, occorre procedere preliminarmente all'analisi del giudizio di uguaglianza, in relazione alle due fattispecie asseritamente analoghe (rette rispettivamente dall'art. 29-bis, comma 1, legge n. 184/1983 e art. 36, comma 4, legge n. 184/1983), in modo da saggiarne il grado di affinita'. Per fare cio' occorre, in primo luogo, sgomberare il campo da un equivoco, gia' a suo tempo chiarito dalla Consulta. Con ordinanza n. 347/2005 la Corte costituzionale, pur dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 29-bis, 31 secondo comma, 35 primo comma, 36 primo e secondo comma e 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha fornito una lettura costituzionalmente orientata della normativa de qua e ha ritenuto ammissibile l'adozione internazionale negli stessi casi in cui e' ammessa l'adozione nazionale (quindi tanto nell'ipotesi di adozione «legittimante» da parte di una coppia, quanto nell'ipotesi di adozione «in casi particolari» da parte di un single) (1) Sebbene, infatti, l'art. 29-bis della legge n. 184 del 1983 (introdotto dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476) con riferimento all'adozione internazionale richiami il solo art. 6 della medesima legge, secondo la Consulta da cio' non discende automaticamente che la richiesta di adozione internazionale da parte di persona non coniugata non sia ammissibile. Tale conclusione non appare, secondo la Consulta, logica, sistematica e costituzionalmente orientata: infatti, se cosi fosse, in presenza dei medesimi presupposti che legittimano l'adozione in casi particolari del minore italiano, l'adozione del minore straniero sarebbe preclusa, con evidente contrasto tra situazioni giuridiche analoghe (art. 3 della Costituzione.). Di qui, quale corollario applicativo, l'ammissibilita' - sussistendone i presupposti - dell'adozione in casi particolari, da parte di persona non coniugata sia di un minore italiano che di un minore straniero. Tale argomentazione rafforza il principio piu' volte affermato secondo cui le norme di protezione del minore italiano devono valere anche per il minore straniero. Se ne deduce che la questione posta dalla odierna ricorrente nel presente giudizio non puo' che far riferimento alla sola adozione «piena», non essendo opponibile alla suddetta, quale persona non coniugata, alcuna preclusione ad aspirare a una declaratoria di idoneita' presso questo Tribunale con la finalita' di procedere con adozione internazionale in casi particolari, secondo la giurisprudenza di merito, confermata anche da questo Tribunale (si veda, infatti, Tribunale per i minorenni di Firenze, n. 3081/2020 cron., proc. 159/2009 AI). Cosi inquadrato il quesito, occorre, quindi, individuare l'ambito interpretativo e applicativo dell'elemento cosiddetto tertium comparationis, ossia dell'art. 36, comma 4 al fine di valutarne il grado di affinita' rispetto alla situazione dell'odierna ricorrente. La fattispecie contenuta nell'art. 36, comma 4 della legge n. 184/1983 e' stata, in effetti, al centro di una evoluzione giurisprudenziale che si sta consolidando nel senso di riconoscere alla persona non coniugata la capacita' di chiedere il riconoscimento in Italia di una decisione di adozione ottenuta nello Stato estero, dove ha risieduto per almeno due anni, di un minore straniero, anche in modo pieno, al di fuori del limitato perimetro dell'art. 44, legge n. 184/1983 (si vedano in tal senso, Tribunale per i minorenni di Genova, 8 settembre 2017, Tribunale per i minorenni di Venezia, dell'8 giugno 2018, Tribunale per i minorenni di Firenze, n. 2634/2018 cron., Tribunale per i minorenni di Firenze, n. cron. 1252/2017 e n. cron. 1253/2017, entrambi del 7-8 marzo 2017). Il processo di costruzione giurisprudenziale che e' approdato a tale esito interpretativo e' incentrato su un'evoluzione del concetto di ordine pubblico internazionale, a partire da una pronuncia di legittimita', la sentenza Cassazione civile, sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3572, piuttosto risalente (di segno contrario rispetto alla piu' recente giurisprudenza di merito), fino a giungere alla elaborazione di cui alla sentenza di Cassazione, Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599. Secondo quest'ultima pronuncia, del 2016, infatti, il riferimento all'ordine pubblico internazionale, al quale si richiama ogni fattispecie di adozione internazionale (sia quella prevista dall'art. 35, sia quella prevista dall'art. 36, legge n. 184/1983), deve intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (cfr., tra le tante, Cassazione n. 1302 e 19405 del 2013, n. 27592 del 2006, n. 22332 del 2004, n. 17349 del 2002). Il legame, pur sempre necessario con l'ordinamento nazionale, invece, e' da intendersi limitato ai principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, oltreche' laddove compatibili con essa (come nella materia in esame) - dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonche' dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Proprio a partire da questa concezione di ordine pubblico internazionale, e' possibile ritenere superato l'orientamento giurisprudenziale della citata Cassazione del 2011, che escludeva che soggetti singoli potessero ottenere il riconoscimento ex art. 36, comma 4 con effetti legittimanti, sulla base di una interpretazione che includeva tra i principi fondamentali e inderogabili dell'ordinamento, richiamati al terzo comma dell'art. 35, i requisiti di cui al sesto comma della disposizione (tra cui il coniugio), rispetto ai quali la stessa disposizione prevede una deroga espressa proprio per la fattispecie di cui all'art. 36. Conseguentemente, se, come ammesso dalla stessa Cassazione del 2011, la deroga espressa a detti principi si riferisce solo al caso richiamato dal comma 6 dell'art. 35 (cioe' la fattispecie di cui all'art. 36), a maggior ragione non si possono invocare, nell'interpretazione dell'art. 36, comma 4 gli stessi «requisiti» che tale deroga direttamente esclude. E', infatti, proprio l'art. 35, comma 6 a prevedere che, «fatto salvo quanto previsto nell'art. 36», non puo' essere ordinata la trascrizione nei casi in cui (lett. a) il provvedimento di adozione riguardi adottanti «non in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana sull'adozione». Puo' affermarsi che esista una evidente differenza tra i «principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori valutati in relazione al superiore interesse del minore» di cui all'art. 35, comma 3 e i «requisiti previsti dalla legge italiana sull'adozione» di cui all'art. 35, comma 6 (che espressamente esclude dall'ambito di applicazione la norma di cui all'art. 36, comma 4). A questo punto, puo' essere correttamente definita l'area entro cui va circoscritto l'art. 36, comma 4, secondo cui la sentenza straniera e' riconosciuta a ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni «purche' conforme ai principi della Convenzione». Nello specifico, la Convenzione dell'Aja del 1993 non pone limiti allo status dei genitori adottivi e prevede, all'art. 24, come unico motivo legittimo di rifiuto del riconoscimento dell'adozione estera da parte di uno Stato contraente, la manifesta contrarieta' «all'ordine pubblico, tenuto conto dell'interesse superiore del minore». Sono dunque questi i parametri in funzione di limite entro cui circoscrivere la prospettiva ermeneutica di cui all'art. 36, comma 4 e «i principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori», come gia' detto, non sono altro che la trasposizione in ambito domestico della disposizione convenzionale relativa all'ordine pubblico. Infine, come parametro di chiusura, il superiore interesse del minore, viene inserito per entrambi i concetti (ordine pubblico e principi fondamentali) come elemento preminente, in presenza del quale, gli altri valori possono cedere il passo ed essere sacrificati. In altri termini, i principi di ordine pubblico devono essere ricercati esclusivamente nei principi supremi e/o fondamentali della nostra Carta costituzionale, vale a dire in quelli che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario. Cio' significa che un contrasto con l'ordine pubblico non e' ravvisabile per il solo fatto che la norma straniera sia difforme contenutisticamente da una o piu' disposizioni del diritto nazionale, perche' il parametro di riferimento non e' costituto (o non e' costituito piu') dalle norme con le quali il legislatore ordinario eserciti (o abbia esercitato) la propria discrezionalita' in una determinata materia, ma esclusivamente dai principi fondamentali per esso vincolanti. Ben si comprende, allora, che se per principi di ordine pubblico internazionale si intendono quelli assoluti e irrinunciabili, tutelati dalla Costituzione e da Trattati internazionali, vincolanti per lo stesso legislatore, il divieto di adozione legittimante da parte delle persone non coniugate non vi rientri. Come la stessa Cassazione del 2011 ricorda, infatti, «il legislatore nazionale ... ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, a un ampliamento dell'ambito di ammissibilita' dell'adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell'adozione legittimante». A riprova e' gia' stata citata la giurisprudenza di merito (anche di questo Tribunale per i minorenni) che si e' consolidata in tale direzione ermeneutica, sia pure limitatamente alla fattispecie di cui all'art. 36, comma 4. I.1 La disponibilita' politica della scelta in materia di adozione da parte di persone non coniugate. Quadro interno e internazionale Se questo e' vero per cio' che attiene all'art. 36, comma 4, ossia per le adozioni perfezionatesi in Stato estero, appare necessario valutare la disponibilita' della precipua scelta di politica del diritto rimessa al legislatore italiano in materia di adozione delle persone non coniugate all'interno dei confini dell'ordinamento interno. Occorre insomma valutare se il testo costituzionale o altra normativa internazionale o sovranazionale limiti la disponibilita' di tale scelta o addirittura imponga allo stato la previsione legislativa di adozione da parte delle persone non coniugate. A tal fine, vale la pena richiamare Corte costituzionale sentenza 183/1994 che, nel decidere la questione opposta (ossia l'incostituzionalita' dell'art. 6 della Convenzione europea in materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357 in riferimento agli articoli 3, 29 e 30 della Costituzione, «nella parte in cui permette senza limiti l'adozione di un minore di eta' da parte di un solo adottante») ha affermato, da un lato che: «e' altrettanto certo che la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici italiani competenti il potere di concedere l'adozione di minori a persone singole fuori dai limiti entro cui tale potere e' attribuito dalla legge nazionale, e nemmeno puo' essere interpretata nel senso di vincolare il legislatore italiano ad ammettere senza limiti l'adozione del singolo», dall'altro ha aperto alla possibilita' di una scelta legislativa, di stretta politica del diritto, di segno contrario, considerata legittima. La Corte costituzionale, infatti, nella stessa pronuncia, ha sostenuto che: «i principi costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell'imitatio naturae in guisa da non consentire l'adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui e' oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983. Essi esprimono una indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, essendo prioritaria «l'esigenza, da un lato, di inserire il minore in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilita', e dall'altro di assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori» (Corte costituzionale sentenza n. 198/1986)». Questa indicazione trova conferma anche nella Convenzione di Strasburgo, prosegue la Corte costituzionale nella stessa pronuncia del 1994, laddove all'art. 6 «prevede, nell'ordine delle preferenze generalmente ammesse, prima l'adozione da parte di una coppia, poi l'adozione da parte di una persona singola, e il successivo art. 8, par. 2, dispone che l'Autorita' competente degli stati «annettera' una particolare importanza a cio', che l'adozione procuri al minore un foyer stable et harmonieux» (cfr. sentenza n. 11 del 1981). Fermo questo criterio di preferenza (ribadito nel preambolo della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), gli articoli 3, 29 e 30 della Costituzione non si oppongono a un'innovazione legislativa che riconosca in misura piu' ampia la possibilita' che, nel concorso di speciali circostanze, tipizzate dalla legge stessa o rimesse volta per volta al prudente apprezzamento del giudice, l'adozione da parte di una persona singola sia giudicata la soluzione in concreto piu' conveniente all'interesse del minore.». La ricorrente, in una nota, afferma come il quadro sociale e normativo sia radicalmente mutato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 183/1994. Se e' vero che occorre valutare questo cambiamento, va riconosciuto che il mutato quadro normativo, soprattutto internazionale, al di la' della facolta' espressamente prevista nell'art. 2 della Convenzione Aja del 1993 (che si ricorda l'Italia ha ratificato solo nel 1998), vede ormai un consensus internazionale che accorda pari dignita' alle adozioni da parte di persone non coniugate. Questo e' vero anche nella ricostruzione che si rinviene all'interno delle sentenze della Corte EDU (2) che pure continua ad ammettere il margine di apprezzamento degli Stati in questa materia, segnalando, pero', che all'interno del Consiglio d'Europa la maggioranza dei paesi membri prevede una qualche forma di adozione per persone non coniugate (includendo espressamente l'Italia fra questi, in particolare fra i paesi con la normativa piu' limitativa, da ultimo nel caso Schwizgebel v. Switzerland). In breve, nonostante l'ampio consenso europeo e internazionale (dato che secondo l'ultimo rapporto ONU, Child Adoption, Trends and Policies, 2009, a livello globale sono cento i paesi che ammettono le adozioni di persone non coniugate e solo quindici quelli che le vietano), questo non basta ad annullare completamente il margine di apprezzamento rimesso agli stati in questa materia in base al diritto internazionale. E ancora, il consenso internazionale verso un riconoscimento di pari dignita' alle persone non coniugate in materia di adozione e' stato confermato nella versione riveduta della Convenzione europea sull'adozione dei minori, fatta a Strasburgo, 27 novembre 2008 ed entrata in vigore nel 2011. L'Italia, tuttavia, non ha firmato, ne' ratificato tale versione rivista della Convenzione, non manifestando allo stato la volonta' di vincolarsi a tale orientamento. Infine, la disponibilita' politica della scelta su questi temi, e' stata confermata nella recentissima sentenza della Corte costituzionale (n. 230/2020) sulla questione, diversa ma affine, della omogenitorialita' e fecondazione medicalmente assistita, quando la Corte ricorda che l'obiettivo del riconoscimento del diritto ad essere genitori di una coppia omosessuale e': «perseguibile per via normativa, implicando una svolta che, anche e soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, non e' costituzionalmente imposta, ma propriamente "attiene all'area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volonta' della collettivita', e' chiamato a tradurre [...] il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale" (sentenza n. 84 del 2016)». 1.2 L'interesse superiore dei minori e il principio di continuita' degli status transnazionali Dalla lettura del recente ma consolidato corpus giurisprudenziale interno citato, invece, appare come tra i «principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore», cosi come tra i principi della Convenzione dell'Aja del 1993, vada necessariamente ricompreso il principio di continuita' degli status transnazionali, espresso dalla costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo in molteplici sentenze (3) ha ritenuto che lo status giuridico di un minore, legalmente acquisito all'estero, non puo' essere disconosciuto da uno Stato membro della Convenzione Aja, proprio in base agli articoli 4 e 5 della stessa Convenzione, 8 e 14 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, 8 e 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 ratificata in Italia con legge n. 176/1991. Il principio cosi esplicitato e piu' volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, inoltre, permette di orientare l'ottica del presente giudizio sul piano di osservazione privilegiato: l'interesse superiore del minore rispetto ai diritti, seppur esistenti, degli adulti, genitori o aspiranti genitori. Per cio' che concerne la ratio dell'art. 36, comma 4 questa e' rinvenuta dalla ricorrente nella «conformita' dell'adozione pronunciata all'estero ai principi della convenzione dell'Aja e, in particolare, all'interesse superiore del minore». In base a quanto appena premesso, puo' allora ritenersi che, cosi ragionando, la ricorrente confonda la ratio della norma, con la sua modalita' applicativa. La ratio della norma, infatti, e' precipuamente e direttamente la tutela dell'interesse superiore del minore e, segnatamente, la tutela di una particolare dimensione dei diritti del minore, ossia il diritto alla continuita' degli status familiari transnazionali, in ultima analisi il diritto all'identita', secondo l'interpretazione sopra enunciata della Corte europea dei diritti dell'uomo. Del resto, l'interesse superiore del minore non puo' essere mai nozione astratta e priva di contenuto (e, per conseguenza, di effettivita'), ma va sempre calata all'interno delle fattispecie normative e interpretata in modo contestuale. Altrimenti facendo, si arriverebbe alla conclusione (a cui effettivamente arriva la ricorrente) di ritenere che la disparita' di trattamento tra cittadini italiani residenti in Italia e cittadini italiani che risiedono all'esterno per almeno due anni sia illogica, irrazionale e discriminatoria rispetto al superiore interesse del minore. E «difatti» - afferma la ricorrente - «l'aver risieduto all'estero per due anni non implica una miglior realizzazione del superiore interesse del minore, ne' una maggiore idoneita' affettiva o, comunque, una maggiore capacita' di istruire, mantenere ed educare il minore». Se cio' non puo' essere negato, va, invece, rilevato che tale interpretazione si basa su di una inversione del prisma interpretativo della norma. Il focus dell'attenzione non devono essere gli adulti genitori o aspiranti genitori e la loro illogica diversa idoneita' ad adottare a seconda che siano residenti in Italia o residenti all'estero, ma il minore, il suo interesse superiore e i suoi diritti. E' la forza attrattiva del superiore diritto all'identita' del minore che consente la traslazione di una situazione, stabilitasi legittimamente in uno Stato estero in base alle sue leggi e procedure, all'interno dell'ordinamento italiano. Una forza di attrazione che, come detto, non trova limiti all'interno dell'ordine pubblico internazionale e dei principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, che di per se' non costituiscono ostacolo all'accesso da parte del singolo all'adozione legittimante, ostacolo, che in Italia e' stato posto solo da una scelta politica e quindi discrezionale del legislatore, tuttavia da ritenersi legittima in base a quanto sopra detto (cfr. Corte costituzionale 183/1994 e giurisprudenza CEDU), in quanto svincolata, almeno per ora, da obblighi internazionali cogenti. La stessa evoluzione della giurisprudenza Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali conferma questo approdo ermeneutico che si basa sulla constatazione che non sia rinvenibile nel sistema convenzionale un diritto a diventare genitori o genitrici, ne' un diritto ad adotta tout court. (4) I.3 Giudizio di uguaglianza tra le situazioni di fatto supposte analoghe La ricorrente ha messo a fuoco le due prospettive comparandole e valutandole analoghe: da una parte la persona non coniugata residente in Italia che aspira all'adozione di minori stranieri, dall'altra la persona, cittadina italiana, ugualmente non coniugata e residente all'estero da almeno due anni, che pero' ha gia' proceduto, secondo la normativa estera di riferimento, all'adozione di un minore straniero e aspira a richiedere il riconoscimento in Italia del provvedimento di adozione pronunciato dallo Stato estero di accoglienza, previa verifica di conformita' ai principi stabiliti dalla Convenzione de L'Aja del 1993. Ad avviso della ricorrente tali condizioni coinvolgono situazioni fattuali, sociali, giuridiche (in particolare in tema di ratio normativa) se non identiche, quantomeno affini. Ora, le due situazioni non possono ritenersi analoghe. Da una parte abbiamo l'aspirazione alla dichiarazione di idoneita' all'adozione con conseguente posizione giuridica rilevante in capo precipuamente a una persona non coniugata (vale la pena ripetere «persona» e non «cittadina o cittadino italiana/o», come richiesto in subordine dalla ricorrente, pena la reiterazione di una discriminazione illegittima basata sulla nazionalita', vietata dalla normativa interna, internazionale e sovranazionale), adulta, residente in Italia e come tale sottoposta alla normativa italiana in tema di adozioni. Dall'altra ci troviamo di fronte a una situazione giuridicamente compiuta (adozione pronunciata dalle Autorita' estere) secondo le norme di un ordinamento giuridico valido che si applica nei confronti di una cittadina/cittadino italiano/a (qui la cittadinanza e', al contrario, elemento fondante che permette l'applicazione dei principi di diritto internazionale privato). Tale situazione compiuta (provvedimento di adozione estero) deve essere osservata, nel momento in cui se ne chieda il riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano, in una prospettiva che non contempla piu' unicamente il diritto della persona adulta (al rispetto della vita familiare e/o privata, ai sensi dell'art. 8 CEDU), ma che anzi valorizza soprattutto la posizione del minore, il suo superiore interesse e il diritto del minore stesso a vedere tutelata la propria identita' attraverso il principio della continuita' degli status familiari transnazionali. Il fatto che il riconoscimento della pronuncia estera ex art. 36, comma 4 non sia automatico sta solo a indicare che allo Stato e' comunque riservato il giudizio di conformita' dell'adozione pronunciata dall'Autorita' estera con il superiore interesse del minore e i suoi diritti fondamentali, ma tale verifica non squalifica o depotenzia il correlato diritto alla continuita' degli status, cosi' come invece argomentato dalla ricorrente al fine di fondare il giudizio di uguaglianza tra le due posizioni. Al contrario, il diritto alla continuita' degli status e' esattamente incastonato all'interno della concretizzazione del superiore interesse del minore e della tutela dei suoi diritti fondamentali. L'argomentazione basata sul giudizio di uguaglianza, seppur a prima vista seducente, si scontra con la valutazione delle differenze tatuali, sociali e giuridiche tra le due posizioni che non si basano, come giustamente notato dalla ricorrente, sul mero requisito fattuale della residenza, ma sulla rilevanza che deve necessariamente acquisire, nell'ottica dell'interesse superiore del minore, una situazione legittimamente costituitasi all'estero. In questo senso l'affermazione secondo cui «e' irragionevole far discendere da una scelta personale di vita una differenziazione di accesso all'istituto delle adozioni internazionali» e' destituita di fondamento, posto che sono esattamente le scelte di vita a comportare conseguenze giuridiche (in questo caso in virtu' del diritto internazionale privato) e a costituire la base di quella nozione di dignita' che ha nel diritto all'autodeterminazione, ossia a potersi dare un progetto di vita che si puo' realizzare attraverso azioni che incidano sulle prospettive future, il suo fulcro e la sua piena realizzazione. II. Gli altri parametri di costituzionalita': articoli 24 e 117 della Costituzione (in relazione all'art. 6 CEDU) Per quanto riguarda il contrasto dell'art. 29-bis, comma 1, legge n. 184/1983, con gli articoli 24 e 117 (quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU) della Costituzione, la ricorrente argomenta che l'attuale normativa precluderebbe alla persona residente in Italia non coniugata di chiedere all'Autorita' giudiziaria l'accertamento dei requisiti di idoneita' prodromici alla dichiarazione di idoneita' all'adozione. Riguardo all'art. 6 conviene ricordare che l'effetto di tale disposizione, cosi come interpretata dalla giurisprudenza Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e' quello di sottoporre il «tribunale» all'obbligo di condurre un adeguato esame delle osservazioni, degli argomenti e delle prove addotte dalle parti, fatta salva la valutazione della loro rilevanza, (5) sebbene cio' non comporti l'obbligo di risposta dettagliata a tutte le argomentazioni avanzate, bensi' di rispondere ai principali motivi addotti. (6) Ora se e' vero che l'ordinamento italiano non prevede che la persona residente possa presentare dichiarazione di disponibilita' ad adottare un minore straniero al Tribunale per i minorenni e chiedere che lo stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione piena, pure e' vero che cio' discende direttamente dal principio secondo cui non vi e' rimedio senza diritto (secondo l'antica massima «ubi ius, ibi rimedium, ubi rimedium, ibi ius»). In questo senso la contrarieta' con l'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non puo' discendere meramente dall'astratta considerazione che non esista tale diritto. In ogni caso non puo' sottacersi il fatto che, in questa procedura, il sistema abbia comunque consentito alla ricorrente, oltre all'esposizione delle proprie ragioni, di portare elementi di fatto a supporto della propria richiesta. Vale la pena notare, infatti, che la presente procedura e' stata integrata con articolate informazioni e valutazioni da parte dei servizi sociali, su istanza della stessa ricorrente, che sono state oggetto, in limine litis, di esame giudiziale in sede di valutazione della rilevanza della questione posta. Cio' a significare che il sistema istituzionale dei servizi sociali preposti alle indagini psico-sociofamiliari si e' attivato e conseguentemente non e' stato precluso alla ricorrente ne' di essere sottoposta alle necessarie valutazioni, ne' di partecipare al corso di preparazione per adozione presso il Centro adozioni di Firenze, aperto agli aspiranti adottivi e di sottoporre tale materiale al vaglio giudiziale. Infine, cosi' come per l'art. 6 Convenzione EDU, anche l'art. 24 della Costituzione, nella sua accezione dinamica, e' valorizzato in questa procedura, dallo stesso esame, in fatto e in diritto, della ragione della ricorrente, oltreche' della richiesta di rimessione della questione di costituzionalita' alla Corte costituzionale e dalla motivazione che accompagna la presente decisione, si' da non potersi ritenere tale disposizione violata. III. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale Conclusivamente, alla luce di tutto quanto sopra considerato, la questione e' da considerarsi rilevante (per come riformulata aggiungendo al verbo adottare, l'espressione «in modo pieno»), essendo l'oggetto del presente giudizio riferito alla norma di cui all'art. 29-bis, legge n. 184/1983, che costituisce impedimento alla valutazione di idoneita' piena o legittimante di persone non coniugate che dichiarano la propria disponibilita' all'adozione di minori stranieri (al di fuori dei casi particolari di cui all'art. 44, legge n. 184/1983). IV. Conclusioni sulla non manifesta infondatezza della questione IV.1 La questione appare, invece, manifestamente infondata, per cio' che attiene al primo parametro costituzionale indicato dalla ricorrente, ritenendosi l'eterogeneita' delle due fattispecie prese in considerazione: quella della persona non coniugata residente in Italia che intenda procedere all'adozione legittimante internazionale e quella della persona italiana non coniugata residente all'estero da almeno due anni che intenda far riconoscere l'avvenuta adozione piena disposta nello Stato estero di residenza, secondo la normativa di quel precipuo ordinamento giuridico. Tale eterogeneita' impedisce di utilizzare l'art. 36, comma 4 della legge n. 184/1983 come tertium comparationis nel giudizio di uguaglianza e ragionevolezza di cui al parametro dell'art. 3 della Costituzione. IV.2 Per cio' che concerne gli articoli 24 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la presente procedura garantisce il pieno ed effettivo diritto di difesa e il diritto a un processo equo ai sensi degli articoli 24 e 117 della Costituzione in riferimento all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. V. Questione sollevata d'ufficio in base al parametro di cui all'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Dopo l'analitica disamina riguardante i confini dell'ordine pubblico internazionale, dei principi dell'ordinamento interno e l'ampiezza, in confronto a essi, della discrezionalita' rimessa al legislatore con riguardo alla disciplina in materia di requisiti necessari per l'adozione piena o legittimante, non appare un fuor d'opera porre uno sguardo piu' ampio sul modo in cui i principi di diritto minorile, di cui sopra si e' detto, sanciti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, incidano nel processo decisorio dei giudici nazionali in subiecta materia. Sul punto la Corte costituzionale con la sentenza 348/2007 ha chiarito come l'art. 117 della nostra Costituzione nella sua attuale formulazione, che subordina l'intervento legislativo al rispetto anche degli obblighi internazionali, comporti che la norma nazionale incompatibile con la norma della Convenzione EDU, violi detto parametro costituzionale. Di conseguenza il giudice nazionale e' tenuto a una interpretazione della norma orientata in senso conforme non solo alla Costituzione ma anche alla norma internazionale e laddove cio' non sia possibile, ovvero vi siano fondati dubbi sulla sua compatibilita', il giudice e' tenuto a rimettere la relativa questione alla Corte costituzionale per violazione del citato art. 117 della Costituzione, non potendosi limitare a disapplicare la norma interna. Tutto quanto sopra considerato, si impone una riflessione in merito alla illegittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, legge n. 184/1983 per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e la consequenziale rimessione d'ufficio di relativa questione di legittimita' costituzionale. In particolare, l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali protegge la vita privata e familiare. La Corte europea dei diritti umani ha nel tempo chiarito che la nozione di «vita privata» ai sensi dell'art. 8 della Convenzione e' un concetto ampio, che comprende, tra l'altro, il diritto all'autonomia personale e allo sviluppo personale (cfr. Pretty v. UK, § 61, e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2010). La ratio primaria dell'art. 8 e' quella di proteggere l'individuo da interferenze arbitrarie da parte delle Autorita' pubbliche. Qualsiasi ingerenza ai sensi del primo paragrafo dell'art. 8 deve essere giustificata ai sensi del secondo paragrafo, ossia come «conforme alla legge» e «necessaria in una societa' democratica» per uno o piu' degli scopi legittimi ivi elencati. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte europea dei diritti dell'uomo, la nozione di necessita' implica che l'ingerenza corrisponda a un'esigenza sociale pressante e, in particolare, che sia proporzionata a uno degli scopi legittimi perseguiti dalle autorita'. Occorre, tuttavia, ricordare come l'art. 8 non garantisca, ex se, ne' il diritto di fondare una famiglia ne' il diritto di adottare (cfr. Frette' c. France, cit., § 32). Il diritto al rispetto della «vita familiare» non copre il mero desiderio di fondare una famiglia, ma presuppone l'esistenza di una famiglia (cfr. sentenza Marchkx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A n. 31, § 31), o quanto meno la potenziale relazione, a esempio, tra un figlio nato fuori dal matrimonio e il padre naturale (cfr. Nylund c. Finlandia (dic.), n. 27110/95, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 1999-VI), o il rapporto che deriva da un vero e proprio matrimonio, anche se la vita familiare non e' ancora stata pienamente stabilita (cfr. Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, serie A n. 94, § 62), o il rapporto che deriva da un'adozione legale e genuina (cfr. Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2004-V). La Corte europea dei diritti dell'uomo, tuttavia, a piu' riprese ha interpretato la nozione di «vita privata» ai sensi dell'art. 8 della Convenzione attribuendole un significato ampio che comprende, tra l'altro, anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani (cfr. Niemietz c. Germania, sentenza del 16 dicembre 1992, serie A n. 251-B, pag. 33, § 29), il diritto allo «sviluppo personale» (cfr. Bensaid c. Regno Unito, n. 44599/98, § 47, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2001-I) o il diritto all'autodeterminazione in quanto tale (cfr. Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2002-111). Venendo al caso in questione, va allora osservato che, sebbene il procedimento instaurato dalla ricorrente non riguardi certamente la domanda di adozione di un bambino determinato, bensi' la domanda di valutazione di idoneita' ad adottarne uno astrattamente inteso e, purtuttavia, questa dimensione appare ancorata al diritto di autodeterminarsi in ordine alla propria vita privata, andando percio' a ricadere pienamente nell'alveo dell'art. 8 della Convenzione EDU. In questo contesto vale la pena notare come il legislatore italiano si sia ormai determinato ad ammettere, come supra ricordato, la possibilita' dell'adozione monoparentale, nelle forme di cui all'art. 44 della legge n. 184 del 1983, sia nei casi di adozione nazionale, sia, secondo la prassi interpretativa delle Corti di merito, confortata dai dicta della Consulta, nel caso di adozione internazionale. E ancora, occorre ricordare, come l'intera materia stia subendo, negli ultimi anni, sia a livello normativo che a livello giurisprudenziale, una dinamica e repentina trasformazione attraverso il nuovo assetto del diritto di famiglia, in particolare a seguito della nuova formulazione dell'art. 74 del codice civile, cosi come modificato dalla legge n. 219/2012, che consacra l'unicita' dello stato di figlio, riformulando e ampliando il concetto di parentela, ricomprendendovi anche i figli adottivi, con l'unica espressa eccezione degli adottati maggiorenni, tanto da aver indotto taluni interpreti a ricomprendervi anche i figli adottati in casi particolari ex art. 44, legge n. 184/1983. (7) La conseguenza sarebbe la rottura della rigidita' del binomio filiazione/matrimonio in particolare e, per la materia che qui interessa, considerato che l'adozione in casi particolari e' consentita a persone non coniugate, il fatto che i principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia non comprenderebbero piu' il vincolo di filiazione come esclusiva emanazione dell'istituto matrimoniale. Insomma, il quadro normativo italiano in tema di adozioni monoparentali presenta, nella dimensione legislativa, cosi' come nella dinamica interpretazione e applicazione della stessa, un grado di incertezza dovuta a una normativa interna altamente frammentata. Un tasso di incertezza capace di incidere negativamente sulla capacita' dei singoli di operare scelte legate alla propria vita e di poterne prevedere (e di conseguenza programmare) le conseguenze giuridiche, andando a costituire una interferenza indebita nella vita privata delle persone, in violazione dell'art. 8 della Convenzione EDU. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, le interferenze con il diritto alla vita privata non violano la certezza del diritto solo se si basano su una legge accessibile e prevedibile. La mancanza, percio', di un quadro univoco in materia di accesso a un diritto, come quello di autodeterminarsi in ordine alla propria aspirazione all'adozione, rende estremamente gravosa e incerta la posizione delle persone non coniugate che intendono richiedere l'autorizzazione all'adozione con lesione dell'art. 8 Convenzione EDU, nella dimensione precipua del diritto alla vita privata. La Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, ha proceduto con simile argomentazione, rinvenendo una violazione dell'art. 8 dovuta alla incertezza del quadro normativo di riferimento, nella sentenza Gross c. Svizzera (n. 67810/10, 14 maggio 2013), a fronte di una normativa che, da una parte ammetteva l'accesso al suicidio assistito, dall'altra lo limitava con una incertezza sul piano legislativo e giurisprudenziale sui confini di tale accesso. La Corte europea dei diritti dell'uomo riconosce, infatti, che: «puo' essere difficile trovare il necessario consenso politico su questioni cosi' controverse con un profondo impatto etico e morale. Tuttavia, queste difficolta' sono inerenti a qualsiasi processo democratico e non possono esonerare le autorita' dall'adempimento del loro compito». Il contesto italiano relativo alla diversa materia che qui ci occupa, ossia quella delle adozioni monoparentali, allora, appare al momento gravato da un alto livello di incertezza, a fronte di un quadro normativo che, in parte, ammette la possibilita' di adozioni da parte di persone non coniugate e al contempo prevede intrinseche limitazioni che necessitano di chiarimento e omogeneita', anche in ordine alla ratio normativa. Tale ratio, infatti, spesso rinvenuta nel diritto alla bigenitorialita' eterosessuale perfetta, potrebbe scontrarsi con la tutela dell'interesse preminente del minore e non solo del minore concretamente inteso e individuato, ma anche di tutti i fanciulli in condizione di essere adottati. La materia necessita, quindi, di una chiara presa di posizione politica e legislativa che permetta alle persone non coniugate di autodeterminarsi in ordine alla propria aspirazione alla genitorialita' (e in ultima analisi alla propria vita privata) e questo a fronte di una normativa che non fornisce linee guida sufficienti a garantire chiarezza sulla portata di tale facolta'/diritto, con conseguente violazione dell'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 8 Convenzione EDU. La materia dell'adozione monoparentale, necessita, insomma, di una armonizzazione che rimetta in gioco e testi la validita', alla luce del mutato contesto sociale, della ratio sottesa alla scelta legislativa di limitare il diritto delle persone non coniugate ad aspirare all'adozione e consenta loro di operare scelte orientate e coerenti, all'interno di una cornice normativa chiara e prevedibile. Cosi' riformulata la questione, gia' ritenuta rilevante, appare non manifestamente infondata. Per le sopra ricordate ragioni, ad avviso del Tribunale per i minorenni scrivente, sussiste, pertanto, il contrasto tra l'art. 29-bis, legge n. 184/1983 e l'art. 117 della Costituzione con riferimento all'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella parte in cui, non fornendo un quadro normativo chiaro in relazione ai diritti riservati alla persona non coniugata residente in Italia, (ivi compresa la possibilita' di presentare dichiarazione di disponibilita' ad adottare un minore straniero al Tribunale per i minorenni del distretto in cui ha la residenza e chiedere che lo stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione piena), non consente alla stessa di orientare le proprie scelte in funzione di effetti giuridici prevedibili, determinando cosi' una interferenza indebita nella sua vita privata, in violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. __________ (1) Nel caso all'attenzione della Consulta, ai sensi dell'art. 44, lettera d) della legge n. 184 del 1983, non sussistendo ragioni per l'affidamento del minore a terzi, la ricorrente (una donna italiana non coniugata che richiedeva l'adozione di una bambina bielorussa in stato di abbandono nel suo Paese di origine, bisognosa di cure mediche tempestive, con la quale aveva istaurato nei tempo un rapporto consolidato di convivenza ed affetto), seppur non coniugata, sarebbe stata legittimata a ottenere il rilascio del certificato di idoneita' all'adozione. (2) Invero, la giurisprudenza di Strasburgo su questa materia si e' incentrata, da un lato, sulla tutela della continuita' degli status transnazionali familiari, dall'altro ha garantito una tutela antidiscriminatoria in quei Paesi che ammettono l'adozione a persone non coniugate, per esempio ritenendo violato l'art. 8 (diritto alla vita privata e familiare) in connessione con l'art. 14 (divieto di discriminazione) in casi in cui la persona non coniugata non era stata ritenuta idonea in quanto omosessuale (E.B. v. France, [GC], n. 43546/02, 22 gennaio 2008), non rinvenendo, al contrario, una violazione degli stessi articoli, in caso di una discriminazione per eta' di una persona non coniugata (Schwizgebel v. Switzerland, n. 25762/07, 10 giugno 2010). Ancora, la Corte ha ritenuto violato l'art. 8 della Convenzione in un caso di adozione da parte di una persona non coniugata in Turchia, dove la legislazione permetteva tale tipo di adozioni, ma non indicava espressamente la possibilita' della registrazione del nome della madre adottiva al posto di quello della madre biologica, rimettendo tale discrezionalita' alle corti (Gözüm c. Turquie, n. 4789/10, 20 aprile 2015). La Corte conferma il margine di apprezzamento rimesso agli stati nel bilanciamento e nella composizione degli interessi concorrenti della madre biologica, della madre adottiva e del bambino, ma una protezione effettiva (in particolar modo per cio' che attiene all'interesse del minore, considerato preminente) richiede un quadro giuridico e legislativo chiaro. In mancanza, l'incertezza giuridica esistente e' tale da provocare una situazione di ansia e insicurezza in relazione all'identita' del minore, in aperta violazione dell'art. 8 della Convenzione. Questi sono i confini dell'attuale giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in questa materia. (3) Si vedano, ex multis, Wagner contro Lussemburgo, n. 76240/01, 28 giugno 2007, Mennesson c. Francia, n. 65192/11, 26 giugno 2014 e Labassee c. Francia, n. 65941/11, 26 giugno 2014. (4) Si vedano Di Lazzaro v. Italy, n. 31924/96. Commission decision of 10 July 1997, and X v. Belgium and the Netherlands, n. 6482/74, Commission decision of 10 July 1975, Frette' v. France, n. 36515/97, § 29. (5) Cfr. Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 80, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2004-1, e Albina c. Romania, n. 57808/00, § 30, 28 aprile 2005. (6) Cfr., mutatis mutandis, Donadze c. Georgia, n. 74644/01, § 35, 7 marzo 2006. (7) Si veda, in questo senso, il citato tribunale Min. Venezia, 8 giugno 2018, che afferma che: «Ritiene pertanto il Tribunale che il novellato art. 74 del codice civile abbia tacitamente abrogato l'art. 55, legge n. 184/1983, nella parte in cui richiama l'art. 300, comma 2 del codice civile in quanto il riconoscimento di un unico status di figlio parente, nel caso del minore adottato (con qualsiasi forma di adozione), e' incompatibile con il fatto che «l'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante» (cfr. art. 300, comma 2, del codice civile)». Ancora, nello stesso senso, tribunale Min. Bologna, n. 70/2020 del 25/06 - 3 luglio 2020, che eloquentemente ricorda che «si puo' - anzi si deve - quindi ritenere che la legge n. 219/2012 abbia operato un'abrogazione tacita dell'art. 55 della legge n. 184/1983 nella parte in cui richiama l'art. 300, comma 2, ultimo periodo, soprattutto per ragioni di ordine sistematico e di armonia formale [grassetto nostro] ...Invero, si tratterebbe di negare sul piano degli effetti giuridici cio' che avviene, con pienezza, sul piano delle relazioni esistenziali, pregiudicando le relazione del minore con la propria cerchia parentale per il solo fatto di aver fatto ricorso ad un'adozione in casi particolari, che in molti casi ha tutti i crismi di un'adozione legittimante».