TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE 
 
    Il Tribunale riunito in Camera di  consiglio  nelle  persone  dei
magistrati: 
        dr. Luciano Trovato, Presidente; 
        dr.ssa Silvia Chiarantini, giudice relatore; 
        dr.ssa Sofia Ciuffoletti, giudice onorario; 
        dott. Francesco Miniati, giudice onorario. 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
    Visto il ricorso, presentato in data 5 febbraio 2019  da  R.  B.,
nata a ...  rappresentata  e  difesa  dalla  prof.ssa  avv.  Beatrice
Ficcarelli       del       Foro        di        Firenze        (PEC:
beatrice.ficcarelli@firenze.avvocati.it) ed elettivamente domiciliata
presso il suo studio, sito in Firenze, via Machiavelli n. 7, con cui,
dichiarata la propria disponibilita' ad adottare un minore straniero,
ha   chiesto,   in   via   preliminare   e   pregiudiziale   rispetto
all'espletamento  di  qualsiasi  attivita'  istruttoria,  che  questo
Tribunale, ai sensi  dell'art.  134  della  Costituzione  sollevi  la
questione di legittimita' costituzionale  relativa  all'art.  29-bis,
legge  n.  184/1983,  al  fine   di   far   dichiarare   tale   norma
costituzionalmente illegittima per contrasto con gli articoli 3, 24 e
117 della  Costituzione  (quest'ultimo  con  riferimento  all'art.  6
CEDU), nella parte in cui  non  prevede  che  anche  la  persona  non
coniugata residente in Italia o, quanto meno, il  cittadino  italiano
non coniugato residente in Italia, possa presentare dichiarazione  di
disponibilita' ad adottare un minore straniero  al  Tribunale  per  i
minorenni del distretto in cui ha la  residenza  e  chiedere  che  lo
stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione. 
    La ricorrente ha  chiesto,  inoltre,  all'esito  della  pronuncia
positiva della Corte costituzionale, che il Tribunale per i minorenni
di  Firenze  valuti   l'istanza   di   dichiarazione   di   idoneita'
all'adozione da lei medesima presentata. 
 
                                Fatto 
 
    La ricorrente e' cittadina italiana non coniugata, con  lavoro  a
tempo  indeterminato  (nominata  magistrata  ordinaria  con   decreto
ministeriale  2  ottobre  2009).  Non  ha  pendenze  penali  di   sua
conoscenza e ha eseguito gli esami medici chiesti dal Tribunale per i
minorenni di Firenze, con esito negativo.  Ha  inoltre  sostenuto  la
visita  medico-legale  che  ne  ha  accertato  la  sana   e   robusta
costituzione psicofisica. 
    Il nucleo familiare di origine e' composto dai due  genitori,  M.
S. (nata a ...) e A. B. (nato a ...) e dalla sorella D.  B.  (nata  a
...), professoressa associata di letteratura moderna e  contemporanea
presso l..., non coniugata e senza  figli.  Tutti  i  componenti  del
nucleo familiare conoscono e supportano il  progetto  adottivo  della
ricorrente e sono stati informati anche della circostanza che il buon
esito dell'istanza presentata dalla odierna  ricorrente  richiede  la
rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  e  un  contestuale
giudizio di costituzionalita'. Tutti i componenti  del  nucleo  hanno
prestato dichiarazione di consenso. 
    Anche  sotto  il  profilo  della  consapevolezza   del   progetto
adottivo, delle caratteristiche personologiche/psicologiche della  B.
e,  quindi,  dell'attitudine  ad  adottare,  a  seguito  di  apposita
indagine psico-socio-familiare, (vedi  relazione  dei  Servizi  socio
sanitari del 22 ottobre 2020) e' emerso un quadro rassicurante. 
    Si sottolinea in modo  particolare,  infatti,  la  sua  capacita'
riflessiva, di adattamento e di  flessibilita'  e  la  determinazione
della stessa nell'affrontare le problematiche  che  nel  corso  della
vita si  possono  presentare,  fondata  sul  rispetto  degli  impegni
assunti e sulla volonta' di raggiungere gli obiettivi basati su  sani
valori trasmessi dalla famiglia. La B. ha  rivelato  di  aver  sempre
aspirato ad una famiglia comprensiva  di  un  figlio  adottivo,  cio'
anche a prescindere dalla possibilita' di avere un figlio  biologico.
Tale aspirazione, maturata quando era in coppia,  e'  rimasta  ed  e'
stata coltivata anche dopo la separazione  dal  partner  e,  percio',
nella condizione di single. Ella infatti, ha partecipato anche ad  un
corso di preparazione  all'adozione  presso  il  Centro  adozioni  di
Firenze,   interessandosi   e   approfondendo   la   tematica   sulla
possibilita' di adozione da parte di persone non coniugate. Da qui la
presentazione della domanda per la dichiarazione di sua  idoneita'  e
la  contestuale  istanza  di  rimessione  degli   atti   alla   Corte
costituzionale per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 29-bis, legge n. 184/1983  secondo  i  profili  di  seguito
illustrati. Non ha minimizzato la portata della  responsabilita'  che
dovrebbe  assumersi  con  l'arrivo  di  un   bambino   in   adozione,
coinvolgendo come detto anche la rete  familiare  e  si  e'  mostrata
fiduciosa nell'aiuto delle istituzioni preposte oltre che disponibile
a modificare le sue priorita' e le sue abitudini  in  relazione  alle
esigenze del bambino. 
    E infatti, e' stato valutato dagli operatori anche  specialistici
che  ella  possiede  le  caratteristiche  di  sensibilita',  empatia,
disponibilita' affettiva-relazionale ed e' in grado di comprendere ed
accogliere le necessita' di un bambino  derivanti  da  situazioni  di
abbandono. Inoltre, la ricorrente si presenta adeguata  e  fortemente
motivata per far fronte alle sfide dell'adozione. 
 
                               Diritto 
 
Sulla richiesta preliminare  di  rimessione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale per la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 29-bis, comma 1, legge 4 maggio 1983, n. 184. 
    La ricorrente prefigura il  giudizio  di  costituzionalita'  come
giudizio di uguaglianza ex art. 3  della  Costituzione,  individuato,
infatti, come primo parametro di riferimento  della  declaratoria  di
incostituzionalita'. 
  I. In relazione all'art. 3 della Costituzione 
    In particolare, la ricorrente sostiene la violazione dell'art.  3
della Costituzione da parte  dell'art.  29-bis,  comma  1,  legge  n.
184/1983, basandosi sulla norma di cui all'art. 36, comma 4, legge n.
184/1983 (considerato l'elemento cosiddetto  tertium  comparationis),
norma che  prevede  che:  «L'adozione  pronunciata  dalla  competente
Autorita' di un paese straniero a istanza di cittadini italiani,  che
dimostrino  al  momento   della   pronuncia   di   aver   soggiornato
continuativamente nello stesso e di  avervi  avuto  la  residenza  da
almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni  effetto  in  Italia  con
provvedimento del Tribunale per  i  minorenni,  purche'  conforme  ai
principi  della  Convenzione».  Il   contrasto,   ad   avviso   della
ricorrente,   deriverebbe   dal   diverso    trattamento    riservato
dall'ordinamento a situazioni supposte analoghe: l'art. 29-bis, comma
1 preclude, infatti, ai cittadini italiani non coniugati residenti in
Italia di poter ottenere la dichiarazione di idoneita'  all'adozione,
al fine di poter perfezionare all'estero il procedimento di  adozione
di un minore  straniero,  mentre  l'art.  36,  comma  4  consente  ai
cittadini italiani (anche non coniugati) che risiedono all'estero  da
almeno due anni, di ottenere un provvedimento  del  Tribunale  per  i
minorenni che riconosca piena efficacia all'adozione  avvenuta  nello
Stato estero, sulla base della verifica di conformita' con i principi
stabiliti  dalla  Convenzione  per  la  tutela  dei   minori   e   la
cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja  il
29 maggio 1993 e ratificata dall'Italia con legge 31  dicembre  1998,
n. 476. 
    Secondo la ricorrente, la suddetta Convenzione  implicherebbe  il
riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano delle adozioni  da
parte di una persona non coniugata abitualmente residente nello Stato
di accoglienza, in base al tenore letterale dell'art. 2 della  stessa
Convenzione, che recita: «La  Convenzione  si  applica  allorche'  un
minore,  residente  abitualmente  in  uno  Stato  contraente  ("Stato
d'origine") e' stato o deve  essere  trasferito  in  un  altro  Stato
contraente ("Stato di accoglienza"), sia a seguito di adozione  nello
Stato d'origine da parte  di  coniugi  o  di  una  persona  residente
abitualmente nello  Stato  di  accoglienza,  sia  in  vista  di  tale
adozione nello Stato di accoglienza o in quello di origine.». 
    Tuttavia, nella ricostruzione della  ricorrente,  il  legislatore
italiano, nel ratificare la Convenzione,  avrebbe  introdotto  l'art.
29-bis,  comma  1,  in  diretto  contrasto  con  i   principi   della
Convenzione dell'Aja del 1993, stabilendo che  soltanto  «Le  persone
residenti in Italia,  che  si  trovano  nelle  condizioni  prescritte
dall'art. 6 e che intendono adottare un  minore  straniero  residente
all'estero, presentano dichiarazione di disponibilita'  al  Tribunale
per i minorenni del distretto in cui hanno la  residenza  e  chiedono
che lo stesso dichiari la loro idoneita'  all'adozione»,  agganciando
quindi  tale  previsione  ai  criteri  dell'art.  6  della  legge  n.
184/1983, che  permette  l'adozione  soltanto  ai  coniugi  uniti  in
matrimonio da almeno tre anni tra i quali  non  sussista  separazione
personale neppure di fatto e che siano idonei. 
  II.  In  relazione  agli  articoli  24  e  117  della  Costituzione
(quest'ultimo in relazione all'art. 6 Convenzione EDU) 
    Ad avviso della ricorrente, la norma in oggetto sarebbe,  infine,
in  contrasto  con  gli  articoli  24  e   117   della   Costituzione
(quest'ultimo in relazione all'art. 6  Convenzione  EDU),  in  quanto
precluderebbe alla persona  residente  in  Italia  non  coniugata  di
chiedere  all'Autorita'  giudiziaria  l'accertamento  dei   requisiti
prodromici alla dichiarazione di idoneita' all'adozione e  quindi  di
far valere i propri  diritti  in  un  giusto  processo,  dove  questi
possano essere adeguatamente ed esaurientemente esaminati. 
 
                        Esame delle questioni 
 
I. Primo parametro di costituzionalita': art. 3 della Costituzione  e
giudizio di comparazione tra art. 29-bis, comma 1, legge n.  184/1983
e art. 36, comma 4, legge n. 184/1983 
    In relazione al primo parametro costituzionale invocato, l'art. 3
Costituzione,  occorre  procedere  preliminarmente  all'analisi   del
giudizio  di  uguaglianza,  in   relazione   alle   due   fattispecie
asseritamente analoghe (rette rispettivamente dall'art. 29-bis, comma
1, legge n. 184/1983 e art. 36, comma 4, legge n. 184/1983), in  modo
da saggiarne il grado di affinita'. 
    Per fare cio' occorre, in primo luogo, sgomberare il campo da  un
equivoco, gia' a suo tempo chiarito dalla Consulta. Con ordinanza  n.
347/2005  la  Corte  costituzionale,  pur  dichiarando  la  manifesta
infondatezza della questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 29-bis, 31 secondo comma, 35 primo comma, 36 primo e secondo
comma e 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha fornito una  lettura
costituzionalmente orientata della normativa de  qua  e  ha  ritenuto
ammissibile l'adozione internazionale negli stessi  casi  in  cui  e'
ammessa l'adozione nazionale (quindi tanto nell'ipotesi  di  adozione
«legittimante»  da  parte  di  una  coppia,  quanto  nell'ipotesi  di
adozione «in casi particolari» da parte di un single) (1) 
    Sebbene, infatti, l'art. 29-bis  della  legge  n.  184  del  1983
(introdotto dalla legge 31 dicembre 1998,  n.  476)  con  riferimento
all'adozione internazionale richiami il solo art.  6  della  medesima
legge, secondo la Consulta da cio' non discende  automaticamente  che
la richiesta di adozione  internazionale  da  parte  di  persona  non
coniugata non sia ammissibile. Tale conclusione non  appare,  secondo
la Consulta,  logica,  sistematica  e  costituzionalmente  orientata:
infatti, se cosi fosse, in  presenza  dei  medesimi  presupposti  che
legittimano l'adozione  in  casi  particolari  del  minore  italiano,
l'adozione  del  minore  straniero  sarebbe  preclusa,  con  evidente
contrasto  tra  situazioni  giuridiche   analoghe   (art.   3   della
Costituzione.).    Di    qui,    quale    corollario     applicativo,
l'ammissibilita' - sussistendone i  presupposti  -  dell'adozione  in
casi particolari, da parte di persona non coniugata sia di un  minore
italiano che di un minore straniero. Tale argomentazione rafforza  il
principio piu' volte affermato secondo cui le norme di protezione del
minore italiano devono valere anche per il minore straniero. 
    Se ne deduce che la questione posta dalla odierna ricorrente  nel
presente giudizio non puo' che far  riferimento  alla  sola  adozione
«piena», non essendo opponibile  alla  suddetta,  quale  persona  non
coniugata, alcuna preclusione  ad  aspirare  a  una  declaratoria  di
idoneita' presso questo Tribunale con la finalita' di  procedere  con
adozione   internazionale   in   casi   particolari,    secondo    la
giurisprudenza di merito, confermata anche da  questo  Tribunale  (si
veda, infatti, Tribunale per i minorenni  di  Firenze,  n.  3081/2020
cron., proc. 159/2009 AI). 
    Cosi inquadrato il quesito, occorre, quindi, individuare l'ambito
interpretativo  e  applicativo   dell'elemento   cosiddetto   tertium
comparationis, ossia dell'art. 36, comma 4 al fine  di  valutarne  il
grado di affinita' rispetto alla situazione dell'odierna ricorrente. 
    La fattispecie contenuta nell'art. 36, comma  4  della  legge  n.
184/1983  e'  stata,  in  effetti,  al  centro  di   una   evoluzione
giurisprudenziale che si sta consolidando nel  senso  di  riconoscere
alla persona non coniugata la capacita' di chiedere il riconoscimento
in Italia di una decisione di adozione ottenuta nello  Stato  estero,
dove ha risieduto per almeno due anni, di un minore straniero,  anche
in modo pieno, al di fuori del limitato perimetro dell'art. 44, legge
n. 184/1983 (si vedano in tal senso, Tribunale  per  i  minorenni  di
Genova, 8 settembre 2017,  Tribunale  per  i  minorenni  di  Venezia,
dell'8  giugno  2018,  Tribunale  per  i  minorenni  di  Firenze,  n.
2634/2018 cron., Tribunale per  i  minorenni  di  Firenze,  n.  cron.
1252/2017 e n. cron. 1253/2017, entrambi del 7-8 marzo 2017). 
    Il processo di costruzione giurisprudenziale che e'  approdato  a
tale esito interpretativo e' incentrato su un'evoluzione del concetto
di ordine pubblico internazionale, a  partire  da  una  pronuncia  di
legittimita', la sentenza Cassazione  civile,  sez.  I,  14  febbraio
2011, n. 3572, piuttosto risalente (di segno contrario rispetto  alla
piu'  recente  giurisprudenza  di  merito),  fino  a  giungere   alla
elaborazione di cui alla sentenza di Cassazione, Sez. I, 30 settembre
2016, n. 19599. 
    Secondo quest'ultima pronuncia, del 2016, infatti, il riferimento
all'ordine  pubblico  internazionale,  al  quale  si  richiama   ogni
fattispecie di adozione internazionale (sia quella prevista dall'art.
35, sia quella  prevista  dall'art.  36,  legge  n.  184/1983),  deve
intendersi come complesso dei principi  fondamentali  caratterizzanti
l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma  ispirati
ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali  dell'uomo  comuni  ai
diversi ordinamenti e collocati a un livello  sovraordinato  rispetto
alla legislazione ordinaria (cfr., tra le tante, Cassazione n. 1302 e
19405 del 2013, n. 27592 del 2006, n. 22332 del 2004,  n.  17349  del
2002). Il legame, pur sempre necessario con l'ordinamento  nazionale,
invece,  e'  da  intendersi   limitato   ai   principi   fondamentali
desumibili, in primo luogo,  dalla  Costituzione,  oltreche'  laddove
compatibili con essa (come nella materia  in  esame) -  dai  Trattati
fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
nonche' dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    Proprio  a  partire  da  questa  concezione  di  ordine  pubblico
internazionale,  e'  possibile   ritenere   superato   l'orientamento
giurisprudenziale della citata Cassazione del 2011, che escludeva che
soggetti singoli potessero ottenere il  riconoscimento  ex  art.  36,
comma 4 con effetti legittimanti, sulla base di  una  interpretazione
che  includeva   tra   i   principi   fondamentali   e   inderogabili
dell'ordinamento, richiamati al terzo comma dell'art. 35, i requisiti
di cui al sesto comma  della  disposizione  (tra  cui  il  coniugio),
rispetto ai quali la stessa disposizione prevede una deroga  espressa
proprio per la fattispecie di cui all'art. 36. 
    Conseguentemente, se, come ammesso dalla  stessa  Cassazione  del
2011, la deroga espressa a detti principi si riferisce solo  al  caso
richiamato dal comma 6 dell'art. 35  (cioe'  la  fattispecie  di  cui
all'art.  36),  a  maggior   ragione   non   si   possono   invocare,
nell'interpretazione dell'art. 36, comma 4 gli stessi «requisiti» che
tale deroga direttamente esclude. E',  infatti,  proprio  l'art.  35,
comma 6 a prevedere che, «fatto salvo quanto previsto nell'art.  36»,
non puo' essere ordinata la trascrizione nei casi in cui (lett. a) il
provvedimento di adozione riguardi adottanti  «non  in  possesso  dei
requisiti  previsti  dalla  legge   italiana   sull'adozione».   Puo'
affermarsi  che  esista  una  evidente  differenza  tra  i  «principi
fondamentali che regolano nello Stato il diritto di  famiglia  e  dei
minori valutati in relazione al superiore interesse  del  minore»  di
cui all'art. 35, comma 3 e i «requisiti previsti dalla legge italiana
sull'adozione» di cui all'art. 35, comma 6 (che espressamente esclude
dall'ambito di applicazione la norma di cui all'art. 36, comma 4). 
    A questo punto, puo' essere correttamente definita  l'area  entro
cui va circoscritto l'art. 36,  comma  4,  secondo  cui  la  sentenza
straniera e' riconosciuta a ogni effetto in Italia con  provvedimento
del Tribunale per i minorenni «purche'  conforme  ai  principi  della
Convenzione». 
    Nello specifico, la Convenzione dell'Aja del 1993 non pone limiti
allo status dei genitori adottivi e prevede, all'art. 24, come  unico
motivo legittimo di rifiuto del riconoscimento  dell'adozione  estera
da  parte  di  uno  Stato  contraente,  la   manifesta   contrarieta'
«all'ordine  pubblico,  tenuto  conto  dell'interesse  superiore  del
minore». 
    Sono dunque questi i parametri in funzione di  limite  entro  cui
circoscrivere la prospettiva ermeneutica di cui all'art. 36, comma  4
e «i principi fondamentali che regolano nello  Stato  il  diritto  di
famiglia e dei minori», come  gia'  detto,  non  sono  altro  che  la
trasposizione in ambito domestico  della  disposizione  convenzionale
relativa all'ordine pubblico. Infine, come parametro di chiusura,  il
superiore  interesse  del  minore,  viene  inserito  per  entrambi  i
concetti (ordine pubblico  e  principi  fondamentali)  come  elemento
preminente, in presenza del quale, gli altri valori possono cedere il
passo ed essere sacrificati. 
    In altri termini, i principi di  ordine  pubblico  devono  essere
ricercati esclusivamente nei principi supremi e/o fondamentali  della
nostra Carta costituzionale, vale a dire in quelli che non potrebbero
essere sovvertiti dal legislatore ordinario. 
    Cio' significa che un contrasto  con  l'ordine  pubblico  non  e'
ravvisabile per il solo fatto che la  norma  straniera  sia  difforme
contenutisticamente da una o piu' disposizioni del diritto nazionale,
perche' il parametro di  riferimento  non  e'  costituto  (o  non  e'
costituito piu') dalle norme con le quali  il  legislatore  ordinario
eserciti (o abbia esercitato)  la  propria  discrezionalita'  in  una
determinata materia, ma esclusivamente dai principi fondamentali  per
esso vincolanti. 
    Ben si comprende, allora, che se per principi di ordine  pubblico
internazionale  si  intendono  quelli  assoluti   e   irrinunciabili,
tutelati dalla Costituzione e da Trattati internazionali,  vincolanti
per lo stesso legislatore, il divieto  di  adozione  legittimante  da
parte delle persone non coniugate non  vi  rientri.  Come  la  stessa
Cassazione del 2011 ricorda, infatti, «il legislatore  nazionale  ...
ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari  circostanze,  a
un ampliamento dell'ambito di ammissibilita' dell'adozione di  minore
da parte di una singola persona anche con gli  effetti  dell'adozione
legittimante». A riprova e' gia' stata citata  la  giurisprudenza  di
merito (anche  di  questo  Tribunale  per  i  minorenni)  che  si  e'
consolidata in tale direzione  ermeneutica,  sia  pure  limitatamente
alla fattispecie di cui all'art. 36, comma 4. 
  I.1 La disponibilita' politica della scelta in materia di  adozione
da parte di persone non coniugate. Quadro interno e internazionale 
    Se questo e' vero per cio' che  attiene  all'art.  36,  comma  4,
ossia  per  le  adozioni  perfezionatesi  in  Stato  estero,   appare
necessario  valutare  la  disponibilita'  della  precipua  scelta  di
politica del diritto rimessa al legislatore italiano  in  materia  di
adozione  delle  persone  non  coniugate  all'interno   dei   confini
dell'ordinamento  interno.  Occorre  insomma  valutare  se  il  testo
costituzionale o  altra  normativa  internazionale  o  sovranazionale
limiti la disponibilita' di tale scelta o  addirittura  imponga  allo
stato la previsione legislativa di adozione da  parte  delle  persone
non coniugate. 
    A tal fine, vale la pena richiamare Corte costituzionale sentenza
183/1994   che,   nel   decidere   la   questione   opposta    (ossia
l'incostituzionalita'  dell'art.  6  della  Convenzione  europea   in
materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967
e ratificata  dall'Italia  con  legge  22  maggio  1974,  n.  357  in
riferimento agli articoli 3, 29 e 30 della Costituzione, «nella parte
in cui permette senza limiti l'adozione di un minore di eta' da parte
di un solo adottante») ha affermato, da un lato che: «e'  altrettanto
certo che la norma pattizia non conferisce immediatamente ai  giudici
italiani competenti il potere di concedere  l'adozione  di  minori  a
persone singole fuori dai limiti entro cui tale potere e'  attribuito
dalla legge nazionale, e nemmeno puo' essere interpretata  nel  senso
di vincolare  il  legislatore  italiano  ad  ammettere  senza  limiti
l'adozione del singolo», dall'altro ha aperto  alla  possibilita'  di
una scelta legislativa, di stretta politica  del  diritto,  di  segno
contrario, considerata legittima. La Corte  costituzionale,  infatti,
nella stessa pronuncia, ha sostenuto che: «i principi  costituzionali
richiamati nell'ordinanza di rimessione non vincolano l'adozione  dei
minori al criterio dell'imitatio naturae in guisa da  non  consentire
l'adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in  cui
e' oggi prevista dalla legge n. 184  del  1983.  Essi  esprimono  una
indicazione di preferenza per l'adozione da parte di  una  coppia  di
coniugi, essendo prioritaria «l'esigenza, da un lato, di inserire  il
minore in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilita',  e
dall'altro di assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed
educativo, di entrambe le figure dei genitori» (Corte  costituzionale
sentenza n. 198/1986)». Questa indicazione trova conferma anche nella
Convenzione di Strasburgo, prosegue  la  Corte  costituzionale  nella
stessa pronuncia del 1994, laddove all'art. 6  «prevede,  nell'ordine
delle preferenze generalmente ammesse, prima l'adozione da  parte  di
una coppia, poi l'adozione da parte di  una  persona  singola,  e  il
successivo art. 8, par. 2, dispone che l'Autorita'  competente  degli
stati «annettera' una particolare importanza a cio',  che  l'adozione
procuri al minore un foyer stable et harmonieux» (cfr. sentenza n. 11
del  1981).  Fermo  questo  criterio  di  preferenza  (ribadito   nel
preambolo della Convenzione di New York  del  1989  sui  diritti  del
fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n.  176),
gli articoli 3, 29  e  30  della  Costituzione  non  si  oppongono  a
un'innovazione legislativa che riconosca  in  misura  piu'  ampia  la
possibilita' che, nel concorso  di  speciali  circostanze,  tipizzate
dalla  legge  stessa  o  rimesse  volta   per   volta   al   prudente
apprezzamento del giudice, l'adozione da parte di una persona singola
sia giudicata la soluzione in concreto piu' conveniente all'interesse
del minore.». 
    La ricorrente, in una nota, afferma  come  il  quadro  sociale  e
normativo  sia  radicalmente  mutato  dalla  pronuncia  della   Corte
costituzionale n. 183/1994. Se e' vero che  occorre  valutare  questo
cambiamento,  va  riconosciuto  che  il  mutato   quadro   normativo,
soprattutto internazionale, al di la'  della  facolta'  espressamente
prevista nell'art. 2 della Convenzione Aja del 1993 (che  si  ricorda
l'Italia ha ratificato  solo  nel  1998),  vede  ormai  un  consensus
internazionale che accorda pari dignita' alle adozioni  da  parte  di
persone non coniugate. 
    Questo  e'  vero  anche  nella  ricostruzione  che  si   rinviene
all'interno delle sentenze della Corte EDU (2) che pure  continua  ad
ammettere il margine di apprezzamento degli Stati in questa  materia,
segnalando,  pero',  che  all'interno  del  Consiglio   d'Europa   la
maggioranza dei paesi membri prevede una qualche  forma  di  adozione
per persone non  coniugate  (includendo  espressamente  l'Italia  fra
questi, in particolare fra i paesi con la normativa piu'  limitativa,
da ultimo nel caso Schwizgebel v. Switzerland). 
    In breve, nonostante l'ampio consenso  europeo  e  internazionale
(dato che secondo l'ultimo rapporto ONU, Child Adoption,  Trends  and
Policies, 2009, a livello globale sono cento i paesi che ammettono le
adozioni di persone non  coniugate  e  solo quindici  quelli  che  le
vietano), questo non basta ad annullare completamente il  margine  di
apprezzamento rimesso agli stati in questa materia in base al diritto
internazionale. 
    E ancora, il consenso internazionale verso un  riconoscimento  di
pari dignita' alle persone non coniugate in materia  di  adozione  e'
stato confermato nella versione riveduta  della  Convenzione  europea
sull'adozione dei minori, fatta a Strasburgo,  27  novembre  2008  ed
entrata in vigore nel 2011. L'Italia, tuttavia, non ha  firmato,  ne'
ratificato tale versione rivista della Convenzione, non  manifestando
allo stato la volonta' di vincolarsi a tale orientamento. 
    Infine, la disponibilita' politica della scelta su  questi  temi,
e'  stata  confermata  nella  recentissima   sentenza   della   Corte
costituzionale (n. 230/2020)  sulla  questione,  diversa  ma  affine,
della omogenitorialita' e fecondazione medicalmente assistita, quando
la Corte ricorda che l'obiettivo del riconoscimento  del  diritto  ad
essere genitori di una coppia omosessuale e': «perseguibile  per  via
normativa, implicando una svolta  che,  anche  e  soprattutto  per  i
contenuti  etici  ed   assiologici   che   la   connotano,   non   e'
costituzionalmente imposta, ma propriamente "attiene  all'area  degli
interventi, con cui il legislatore, quale interprete  della  volonta'
della collettivita', e' chiamato a tradurre  [...]  il  bilanciamento
tra  valori  fondamentali   in   conflitto,   tenendo   conto   degli
orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati,
nel momento dato,  nella  coscienza  sociale"  (sentenza  n.  84  del
2016)». 
  1.2 L'interesse superiore dei minori e il principio di  continuita'
degli status transnazionali 
    Dalla lettura del recente ma consolidato corpus giurisprudenziale
interno citato, invece, appare come tra i «principi fondamentali  che
regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in
relazione al  superiore  interesse  del  minore»,  cosi  come  tra  i
principi della Convenzione dell'Aja del  1993,  vada  necessariamente
ricompreso il principio di continuita' degli  status  transnazionali,
espresso  dalla  costante  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    In  particolare,  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  in
molteplici sentenze (3) ha ritenuto che lo  status  giuridico  di  un
minore,   legalmente   acquisito   all'estero,   non   puo'    essere
disconosciuto da uno Stato membro della Convenzione Aja,  proprio  in
base agli articoli 4 e 5 della stessa Convenzione, 8 e 14 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, 8 e 16 della Convenzione di New York  sui  diritti  del
fanciullo del 1989 ratificata in Italia con legge n. 176/1991. 
    Il principio cosi esplicitato e piu' volte ribadito  dalla  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo,  inoltre,  permette  di   orientare
l'ottica  del   presente   giudizio   sul   piano   di   osservazione
privilegiato: l'interesse superiore del minore rispetto  ai  diritti,
seppur esistenti, degli adulti, genitori o aspiranti genitori. 
    Per cio' che concerne la ratio dell'art. 36, comma  4  questa  e'
rinvenuta   dalla   ricorrente   nella   «conformita'   dell'adozione
pronunciata all'estero ai principi della convenzione dell'Aja  e,  in
particolare, all'interesse superiore del minore». 
    In base a quanto appena premesso, puo' allora ritenersi che, cosi
ragionando, la ricorrente confonda la ratio della norma, con  la  sua
modalita'  applicativa.   La   ratio   della   norma,   infatti,   e'
precipuamente e direttamente la tutela dell'interesse  superiore  del
minore e, segnatamente, la tutela di una particolare  dimensione  dei
diritti del minore, ossia il diritto alla  continuita'  degli  status
familiari transnazionali, in ultima analisi il diritto all'identita',
secondo l'interpretazione sopra enunciata  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    Del resto, l'interesse superiore del minore non puo'  essere  mai
nozione astratta  e  priva  di  contenuto  (e,  per  conseguenza,  di
effettivita'), ma va  sempre  calata  all'interno  delle  fattispecie
normative e interpretata in modo contestuale. Altrimenti facendo,  si
arriverebbe  alla  conclusione  (a  cui  effettivamente   arriva   la
ricorrente)  di  ritenere  che  la  disparita'  di  trattamento   tra
cittadini italiani residenti  in  Italia  e  cittadini  italiani  che
risiedono all'esterno per almeno due anni sia illogica, irrazionale e
discriminatoria rispetto al superiore interesse del minore. 
    E  «difatti»  -  afferma  la  ricorrente  -   «l'aver   risieduto
all'estero per due anni non implica  una  miglior  realizzazione  del
superiore interesse del minore, ne' una maggiore idoneita'  affettiva
o, comunque, una maggiore capacita' di istruire, mantenere ed educare
il minore». 
    Se cio' non puo' essere negato, va,  invece,  rilevato  che  tale
interpretazione  si  basa   su   di   una   inversione   del   prisma
interpretativo della  norma.  Il  focus  dell'attenzione  non  devono
essere gli adulti genitori o aspiranti genitori e  la  loro  illogica
diversa idoneita' ad adottare a seconda che siano residenti in Italia
o residenti all'estero, ma il minore, il suo interesse superiore e  i
suoi  diritti.  E'  la  forza  attrattiva   del   superiore   diritto
all'identita'  del  minore  che  consente  la  traslazione   di   una
situazione, stabilitasi legittimamente in uno Stato  estero  in  base
alle sue leggi e procedure,  all'interno  dell'ordinamento  italiano.
Una forza di attrazione che, come detto, non trova limiti all'interno
dell'ordine pubblico internazionale e dei principi  fondamentali  che
regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, che di  per
se' non costituiscono  ostacolo  all'accesso  da  parte  del  singolo
all'adozione legittimante, ostacolo, che in  Italia  e'  stato  posto
solo da una scelta politica e quindi discrezionale  del  legislatore,
tuttavia da ritenersi legittima in base a quanto  sopra  detto  (cfr.
Corte costituzionale  183/1994  e  giurisprudenza  CEDU),  in  quanto
svincolata, almeno per ora, da obblighi internazionali cogenti. 
    La stessa evoluzione della giurisprudenza Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
conferma questo approdo ermeneutico che si basa  sulla  constatazione
che non sia  rinvenibile  nel  sistema  convenzionale  un  diritto  a
diventare genitori o genitrici, ne' un diritto ad adotta tout  court.
(4) 
  I.3 Giudizio di uguaglianza tra le  situazioni  di  fatto  supposte
analoghe 
    La ricorrente ha messo a fuoco le due prospettive comparandole  e
valutandole analoghe: da una parte la persona non coniugata residente
in Italia che aspira all'adozione di minori stranieri, dall'altra  la
persona, cittadina italiana, ugualmente  non  coniugata  e  residente
all'estero da almeno due anni, che pero' ha gia'  proceduto,  secondo
la  normativa  estera  di  riferimento,  all'adozione  di  un  minore
straniero e aspira a  richiedere  il  riconoscimento  in  Italia  del
provvedimento  di  adozione  pronunciato  dallo   Stato   estero   di
accoglienza, previa verifica di  conformita'  ai  principi  stabiliti
dalla Convenzione de L'Aja del 1993. Ad avviso della ricorrente  tali
condizioni coinvolgono situazioni fattuali, sociali,  giuridiche  (in
particolare in tema di ratio normativa) se non identiche,  quantomeno
affini. 
    Ora, le due situazioni non possono  ritenersi  analoghe.  Da  una
parte  abbiamo  l'aspirazione   alla   dichiarazione   di   idoneita'
all'adozione con conseguente posizione giuridica  rilevante  in  capo
precipuamente a una persona non  coniugata  (vale  la  pena  ripetere
«persona» e non «cittadina o cittadino italiana/o», come richiesto in
subordine   dalla   ricorrente,   pena   la   reiterazione   di   una
discriminazione illegittima basata sulla nazionalita', vietata  dalla
normativa  interna,   internazionale   e   sovranazionale),   adulta,
residente in Italia e come tale sottoposta alla normativa italiana in
tema di adozioni. Dall'altra ci troviamo di fronte a  una  situazione
giuridicamente compiuta (adozione pronunciata dalle Autorita' estere)
secondo le norme di un ordinamento giuridico valido  che  si  applica
nei  confronti  di  una  cittadina/cittadino   italiano/a   (qui   la
cittadinanza  e',  al  contrario,  elemento  fondante  che   permette
l'applicazione dei principi di diritto internazionale privato).  Tale
situazione compiuta (provvedimento di adozione  estero)  deve  essere
osservata,  nel  momento  in  cui  se  ne  chieda  il  riconoscimento
nell'ordinamento giuridico  italiano,  in  una  prospettiva  che  non
contempla  piu'  unicamente  il  diritto  della  persona  adulta  (al
rispetto della vita familiare  e/o  privata,  ai  sensi  dell'art.  8
CEDU), ma che anzi valorizza soprattutto la posizione del minore,  il
suo superiore interesse e il  diritto  del  minore  stesso  a  vedere
tutelata  la  propria  identita'  attraverso   il   principio   della
continuita' degli status familiari transnazionali. 
    Il fatto che il riconoscimento della pronuncia estera ex art. 36,
comma 4 non sia automatico sta solo a  indicare  che  allo  Stato  e'
comunque  riservato  il   giudizio   di   conformita'   dell'adozione
pronunciata dall'Autorita' estera  con  il  superiore  interesse  del
minore e i suoi diritti fondamentali, ma tale verifica non squalifica
o depotenzia il correlato  diritto  alla  continuita'  degli  status,
cosi' come invece argomentato dalla ricorrente al fine di fondare  il
giudizio di uguaglianza  tra  le  due  posizioni.  Al  contrario,  il
diritto alla continuita'  degli  status  e'  esattamente  incastonato
all'interno della concretizzazione del superiore interesse del minore
e della tutela dei suoi diritti fondamentali. 
    L'argomentazione basata sul giudizio  di  uguaglianza,  seppur  a
prima vista seducente, si scontra con la valutazione delle differenze
tatuali, sociali e giuridiche tra le due posizioni che non si basano,
come giustamente notato dalla ricorrente, sul mero requisito fattuale
della  residenza,  ma  sulla  rilevanza  che   deve   necessariamente
acquisire,  nell'ottica  dell'interesse  superiore  del  minore,  una
situazione legittimamente costituitasi all'estero.  In  questo  senso
l'affermazione secondo cui «e' irragionevole far  discendere  da  una
scelta personale di vita una differenziazione di accesso all'istituto
delle adozioni internazionali» e' destituita di fondamento, posto che
sono  esattamente  le  scelte  di  vita  a   comportare   conseguenze
giuridiche (in questo  caso  in  virtu'  del  diritto  internazionale
privato) e a costituire la base di quella nozione di dignita' che  ha
nel diritto all'autodeterminazione, ossia a potersi dare un  progetto
di vita che si puo' realizzare attraverso azioni che  incidano  sulle
prospettive future, il suo fulcro e la sua piena realizzazione. 
II. Gli altri parametri di costituzionalita': articoli 24 e 117 della
Costituzione (in relazione all'art. 6 CEDU) 
    Per quanto riguarda il contrasto dell'art. 29-bis, comma 1, legge
n. 184/1983, con gli articoli 24 e  117  (quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 CEDU) della  Costituzione,  la  ricorrente  argomenta  che
l'attuale normativa precluderebbe alla persona  residente  in  Italia
non coniugata di chiedere  all'Autorita'  giudiziaria  l'accertamento
dei requisiti di idoneita' prodromici alla dichiarazione di idoneita'
all'adozione. 
    Riguardo all'art. 6 conviene  ricordare  che  l'effetto  di  tale
disposizione, cosi come interpretata dalla giurisprudenza Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, e' quello di sottoporre il «tribunale»  all'obbligo  di
condurre un adeguato esame  delle  osservazioni,  degli  argomenti  e
delle prove addotte dalle parti, fatta  salva  la  valutazione  della
loro rilevanza, (5) sebbene cio' non comporti l'obbligo  di  risposta
dettagliata a tutte le argomentazioni avanzate, bensi' di  rispondere
ai principali motivi addotti. (6) 
    Ora se e' vero che l'ordinamento  italiano  non  prevede  che  la
persona residente possa presentare dichiarazione di disponibilita' ad
adottare un minore straniero al Tribunale per i minorenni e  chiedere
che lo stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione piena,  pure  e'
vero che cio' discende direttamente dal principio secondo cui non  vi
e' rimedio senza diritto (secondo  l'antica  massima  «ubi  ius,  ibi
rimedium, ubi rimedium, ibi ius»). In questo  senso  la  contrarieta'
con l'art. 6 Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali non puo' discendere meramente
dall'astratta considerazione che non esista tale diritto. 
    In ogni  caso  non  puo'  sottacersi  il  fatto  che,  in  questa
procedura, il sistema  abbia  comunque  consentito  alla  ricorrente,
oltre all'esposizione delle proprie ragioni, di portare  elementi  di
fatto a supporto della propria richiesta. 
    Vale la pena notare, infatti, che la presente procedura e'  stata
integrata con articolate informazioni  e  valutazioni  da  parte  dei
servizi sociali, su istanza della stessa ricorrente, che  sono  state
oggetto, in limine litis, di esame giudiziale in sede di  valutazione
della rilevanza della questione posta.  Cio'  a  significare  che  il
sistema istituzionale dei  servizi  sociali  preposti  alle  indagini
psico-sociofamiliari si e' attivato e conseguentemente non  e'  stato
precluso alla ricorrente ne' di  essere  sottoposta  alle  necessarie
valutazioni, ne' di partecipare al corso di preparazione per adozione
presso il Centro adozioni di Firenze, aperto agli aspiranti  adottivi
e di sottoporre tale materiale al vaglio giudiziale. 
    Infine, cosi' come per l'art. 6 Convenzione EDU, anche l'art.  24
della Costituzione, nella sua accezione dinamica, e'  valorizzato  in
questa procedura, dallo stesso esame, in fatto e  in  diritto,  della
ragione della ricorrente, oltreche'  della  richiesta  di  rimessione
della questione di  costituzionalita'  alla  Corte  costituzionale  e
dalla motivazione che accompagna la presente decisione,  si'  da  non
potersi ritenere tale disposizione violata. 
  III. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 
  Conclusivamente, alla luce di tutto quanto  sopra  considerato,  la
questione  e'  da  considerarsi  rilevante  (per   come   riformulata
aggiungendo  al  verbo  adottare,  l'espressione  «in  modo  pieno»),
essendo l'oggetto del presente giudizio riferito alla  norma  di  cui
all'art. 29-bis, legge n. 184/1983, che costituisce impedimento  alla
valutazione  di  idoneita'  piena  o  legittimante  di  persone   non
coniugate che dichiarano la propria  disponibilita'  all'adozione  di
minori stranieri (al di fuori dei casi particolari  di  cui  all'art.
44, legge n. 184/1983). 
  IV. Conclusioni sulla non manifesta infondatezza della questione 
  IV.1 
    La questione appare, invece, manifestamente infondata,  per  cio'
che  attiene  al  primo  parametro  costituzionale   indicato   dalla
ricorrente, ritenendosi l'eterogeneita' delle due  fattispecie  prese
in considerazione: quella della persona non  coniugata  residente  in
Italia che intenda procedere all'adozione legittimante internazionale
e quella della persona italiana non coniugata residente all'estero da
almeno due anni che intenda far riconoscere l'avvenuta adozione piena
disposta nello Stato estero di residenza,  secondo  la  normativa  di
quel precipuo ordinamento giuridico. 
    Tale eterogeneita' impedisce di utilizzare  l'art.  36,  comma  4
della legge n. 184/1983 come tertium comparationis  nel  giudizio  di
uguaglianza e ragionevolezza di cui al parametro  dell'art.  3  della
Costituzione. 
    IV.2 
    Per cio' che concerne gli articoli 24 e 117  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione  all'art.  6  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  la
presente procedura garantisce il pieno ed effettivo diritto di difesa
e il diritto a un processo equo ai sensi  degli  articoli  24  e  117
della Costituzione in riferimento all'art. 6 Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    V. Questione sollevata d'ufficio in  base  al  parametro  di  cui
all'art. 117 della Costituzione in relazione all'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. 
    Dopo  l'analitica  disamina  riguardante  i  confini  dell'ordine
pubblico internazionale,  dei  principi  dell'ordinamento  interno  e
l'ampiezza, in confronto a essi, della  discrezionalita'  rimessa  al
legislatore con riguardo alla  disciplina  in  materia  di  requisiti
necessari per l'adozione piena o legittimante,  non  appare  un  fuor
d'opera porre uno sguardo piu' ampio sul modo in cui  i  principi  di
diritto minorile, di cui sopra  si  e'  detto,  sanciti  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo, incidano nel  processo  decisorio  dei
giudici nazionali in subiecta materia. 
    Sul punto la Corte costituzionale con  la  sentenza  348/2007  ha
chiarito come l'art. 117 della nostra Costituzione nella sua  attuale
formulazione, che  subordina  l'intervento  legislativo  al  rispetto
anche degli obblighi internazionali, comporti che la norma  nazionale
incompatibile  con  la  norma  della  Convenzione  EDU,  violi  detto
parametro costituzionale. 
    Di  conseguenza  il   giudice   nazionale   e'   tenuto   a   una
interpretazione della norma orientata in senso conforme non solo alla
Costituzione ma anche alla norma internazionale e  laddove  cio'  non
sia  possibile,   ovvero   vi   siano   fondati   dubbi   sulla   sua
compatibilita',  il  giudice  e'  tenuto  a  rimettere  la   relativa
questione alla Corte costituzionale per violazione  del  citato  art.
117 della Costituzione, non  potendosi  limitare  a  disapplicare  la
norma interna. 
    Tutto quanto sopra considerato,  si  impone  una  riflessione  in
merito alla illegittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, legge  n.
184/1983 per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione
all'art. 8  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali   e   la   consequenziale
rimessione  d'ufficio   di   relativa   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    In  particolare,  l'art.  8  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
protegge la vita privata e familiare. La Corte  europea  dei  diritti
umani ha nel tempo chiarito che la nozione di «vita privata» ai sensi
dell'art. 8 della Convenzione e' un concetto  ampio,  che  comprende,
tra l'altro, il  diritto  all'autonomia  personale  e  allo  sviluppo
personale (cfr. Pretty v. UK, § 61, e A, B e C c.  Irlanda  [GC],  n.
25579/05, § 212, Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  2010).  La  ratio  primaria
dell'art. 8 e'  quella  di  proteggere  l'individuo  da  interferenze
arbitrarie da parte delle Autorita' pubbliche. Qualsiasi ingerenza ai
sensi del primo paragrafo dell'art. 8  deve  essere  giustificata  ai
sensi del secondo paragrafo,  ossia  come  «conforme  alla  legge»  e
«necessaria in una societa' democratica» per uno o piu'  degli  scopi
legittimi ivi elencati. Secondo la giurisprudenza  consolidata  della
Corte europea dei diritti dell'uomo, la nozione di necessita' implica
che l'ingerenza corrisponda a un'esigenza  sociale  pressante  e,  in
particolare, che  sia  proporzionata  a  uno  degli  scopi  legittimi
perseguiti dalle autorita'. 
    Occorre, tuttavia, ricordare come l'art. 8 non garantisca, ex se,
ne' il diritto di fondare una famiglia ne'  il  diritto  di  adottare
(cfr. Frette' c. France, cit., § 32). Il diritto  al  rispetto  della
«vita familiare» non copre il mero desiderio di fondare una famiglia,
ma presuppone l'esistenza di una famiglia (cfr. sentenza  Marchkx  c.
Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A n. 31, § 31),  o  quanto
meno la potenziale relazione, a esempio, tra un figlio nato fuori dal
matrimonio e il padre naturale (cfr. Nylund c. Finlandia  (dic.),  n.
27110/95,  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali 1999-VI), o il  rapporto  che
deriva da un vero e proprio matrimonio, anche se  la  vita  familiare
non e' ancora stata pienamente stabilita (cfr. Abdulaziz,  Cabales  e
Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985,  serie  A  n.
94, § 62), o il rapporto che deriva da un'adozione legale  e  genuina
(cfr. Pini e altri c.  Romania,  nn.  78028/01  e  78030/01,  §  148,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 2004-V). 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo, tuttavia, a piu'  riprese
ha interpretato la nozione di «vita privata»  ai  sensi  dell'art.  8
della Convenzione attribuendole un significato ampio  che  comprende,
tra l'altro, anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con
altri esseri umani  (cfr.  Niemietz  c.  Germania,  sentenza  del  16
dicembre 1992, serie A n. 251-B, pag. 33,  §  29),  il  diritto  allo
«sviluppo personale» (cfr. Bensaid c. Regno Unito, n. 44599/98, § 47,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 2001-I) o il diritto all'autodeterminazione  in
quanto  tale  (cfr.  Pretty  c.  Regno  Unito,  n.  2346/02,  §   61,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 2002-111). 
    Venendo al caso in questione, va allora osservato che, sebbene il
procedimento instaurato dalla ricorrente non riguardi  certamente  la
domanda di adozione di un bambino determinato, bensi' la  domanda  di
valutazione di idoneita' ad adottarne  uno  astrattamente  inteso  e,
purtuttavia,  questa  dimensione  appare  ancorata  al   diritto   di
autodeterminarsi in ordine alla propria vita privata, andando percio'
a ricadere pienamente nell'alveo dell'art. 8 della Convenzione EDU. 
    In questo contesto  vale  la  pena  notare  come  il  legislatore
italiano si sia ormai determinato ad ammettere, come supra ricordato,
la possibilita'  dell'adozione  monoparentale,  nelle  forme  di  cui
all'art. 44 della legge n. 184 del 1983, sia  nei  casi  di  adozione
nazionale, sia, secondo  la  prassi  interpretativa  delle  Corti  di
merito, confortata dai dicta della Consulta,  nel  caso  di  adozione
internazionale. 
    E ancora, occorre ricordare, come l'intera materia stia  subendo,
negli  ultimi  anni,  sia  a  livello   normativo   che   a   livello
giurisprudenziale, una dinamica e repentina trasformazione attraverso
il nuovo assetto del diritto di famiglia, in  particolare  a  seguito
della nuova formulazione dell'art. 74 del codice  civile,  cosi  come
modificato dalla legge n. 219/2012,  che  consacra  l'unicita'  dello
stato di figlio, riformulando e ampliando il concetto  di  parentela,
ricomprendendovi  anche  i  figli  adottivi,  con  l'unica   espressa
eccezione degli adottati maggiorenni, tanto da  aver  indotto  taluni
interpreti  a  ricomprendervi  anche  i  figli   adottati   in   casi
particolari ex art. 44, legge n. 184/1983. (7) 
    La conseguenza sarebbe la rottura  della  rigidita'  del  binomio
filiazione/matrimonio in  particolare  e,  per  la  materia  che  qui
interessa,  considerato  che  l'adozione  in  casi   particolari   e'
consentita  a  persone  non  coniugate,  il  fatto  che  i   principi
fondamentali che regolano il diritto di famiglia non comprenderebbero
piu' il vincolo di filiazione come esclusiva emanazione dell'istituto
matrimoniale. 
    Insomma,  il  quadro  normativo  italiano  in  tema  di  adozioni
monoparentali presenta,  nella  dimensione  legislativa,  cosi'  come
nella dinamica interpretazione e applicazione della stessa, un  grado
di incertezza dovuta a una normativa interna  altamente  frammentata.
Un  tasso  di  incertezza  capace  di  incidere  negativamente  sulla
capacita' dei singoli di operare scelte legate alla propria vita e di
poterne prevedere  (e  di  conseguenza  programmare)  le  conseguenze
giuridiche, andando a costituire una interferenza indebita nella vita
privata delle persone, in violazione dell'art.  8  della  Convenzione
EDU.  Infatti,  secondo  la  consolidata  giurisprudenza  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, le interferenze con il diritto alla  vita  privata  non
violano la certezza del diritto  solo  se  si  basano  su  una  legge
accessibile e prevedibile. 
    La mancanza, percio', di un quadro univoco in materia di  accesso
a un diritto, come quello di autodeterminarsi in ordine alla  propria
aspirazione all'adozione, rende estremamente  gravosa  e  incerta  la
posizione  delle  persone  non  coniugate  che  intendono  richiedere
l'autorizzazione all'adozione con  lesione  dell'art.  8  Convenzione
EDU, nella dimensione precipua del diritto alla vita privata. 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, ha proceduto con
simile argomentazione, rinvenendo una violazione dell'art.  8  dovuta
alla incertezza del quadro normativo di riferimento,  nella  sentenza
Gross c. Svizzera (n. 67810/10, 14 maggio  2013),  a  fronte  di  una
normativa  che,  da  una  parte  ammetteva  l'accesso   al   suicidio
assistito, dall'altra  lo  limitava  con  una  incertezza  sul  piano
legislativo e giurisprudenziale sui confini di tale accesso. La Corte
europea dei diritti dell'uomo riconosce, infatti, che:  «puo'  essere
difficile trovare il necessario consenso politico su questioni  cosi'
controverse con un profondo impatto etico e morale. Tuttavia,  queste
difficolta' sono inerenti a  qualsiasi  processo  democratico  e  non
possono esonerare le autorita' dall'adempimento del loro compito». 
    Il contesto italiano relativo alla diversa  materia  che  qui  ci
occupa, ossia quella delle adozioni monoparentali, allora, appare  al
momento gravato da un alto livello di  incertezza,  a  fronte  di  un
quadro normativo che, in parte, ammette la possibilita'  di  adozioni
da parte di persone non coniugate e al contempo  prevede  intrinseche
limitazioni che necessitano di chiarimento e  omogeneita',  anche  in
ordine alla ratio normativa. Tale ratio,  infatti,  spesso  rinvenuta
nel diritto alla bigenitorialita'  eterosessuale  perfetta,  potrebbe
scontrarsi con la tutela dell'interesse preminente del minore  e  non
solo del minore concretamente inteso e individuato, ma anche di tutti
i fanciulli in condizione di essere adottati. 
    La materia necessita, quindi, di una chiara  presa  di  posizione
politica e legislativa che permetta alle  persone  non  coniugate  di
autodeterminarsi   in   ordine   alla   propria   aspirazione    alla
genitorialita' (e in ultima analisi  alla  propria  vita  privata)  e
questo a fronte  di  una  normativa  che  non  fornisce  linee  guida
sufficienti   a   garantire   chiarezza   sulla   portata   di   tale
facolta'/diritto, con  conseguente  violazione  dell'art.  117  della
Costituzione in relazione all'art.  8  Convenzione  EDU.  La  materia
dell'adozione   monoparentale,    necessita,    insomma,    di    una
armonizzazione che rimetta in gioco e testi la validita',  alla  luce
del  mutato  contesto  sociale,  della  ratio  sottesa  alla   scelta
legislativa di limitare il diritto delle  persone  non  coniugate  ad
aspirare all'adozione e consenta loro di operare scelte  orientate  e
coerenti, all'interno di una cornice normativa chiara e prevedibile. 
    Cosi' riformulata la questione, gia' ritenuta  rilevante,  appare
non manifestamente infondata. 
    Per le sopra ricordate ragioni, ad avviso  del  Tribunale  per  i
minorenni scrivente, sussiste,  pertanto,  il  contrasto  tra  l'art.
29-bis, legge  n.  184/1983  e  l'art.  117  della  Costituzione  con
riferimento all'art. 8 Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella parte  in  cui,
non fornendo un quadro  normativo  chiaro  in  relazione  ai  diritti
riservati alla  persona  non  coniugata  residente  in  Italia,  (ivi
compresa   la   possibilita'   di   presentare    dichiarazione    di
disponibilita' ad adottare un minore straniero  al  Tribunale  per  i
minorenni del distretto in cui ha la  residenza  e  chiedere  che  lo
stesso dichiari la sua idoneita' all'adozione  piena),  non  consente
alla stessa di orientare le proprie scelte  in  funzione  di  effetti
giuridici prevedibili, determinando cosi' una  interferenza  indebita
nella sua vita privata, in violazione dell'art. 8 Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali.  
 
__________ 

(1) Nel caso all'attenzione della Consulta, ai  sensi  dell'art.  44,
    lettera d) della legge n. 184 del 1983, non  sussistendo  ragioni
    per l'affidamento del minore a terzi, la  ricorrente  (una  donna
    italiana non coniugata che richiedeva l'adozione di  una  bambina
    bielorussa in stato  di  abbandono  nel  suo  Paese  di  origine,
    bisognosa  di  cure  mediche  tempestive,  con  la  quale   aveva
    istaurato nei tempo un  rapporto  consolidato  di  convivenza  ed
    affetto), seppur  non  coniugata,  sarebbe  stata  legittimata  a
    ottenere il rilascio del certificato di idoneita' all'adozione. 

(2) Invero, la giurisprudenza di Strasburgo su questa materia  si  e'
    incentrata, da un lato,  sulla  tutela  della  continuita'  degli
    status transnazionali  familiari,  dall'altro  ha  garantito  una
    tutela antidiscriminatoria in quei Paesi che ammettono l'adozione
    a persone non coniugate, per esempio ritenendo violato  l'art.  8
    (diritto alla vita privata e familiare) in connessione con l'art.
    14 (divieto di discriminazione) in casi in  cui  la  persona  non
    coniugata non era stata ritenuta  idonea  in  quanto  omosessuale
    (E.B. v.  France,  [GC],  n.  43546/02,  22  gennaio  2008),  non
    rinvenendo, al contrario, una violazione degli  stessi  articoli,
    in caso di una  discriminazione  per  eta'  di  una  persona  non
    coniugata (Schwizgebel v. Switzerland,  n.  25762/07,  10  giugno
    2010). Ancora, la  Corte  ha  ritenuto  violato  l'art.  8  della
    Convenzione in un caso di adozione da parte di  una  persona  non
    coniugata in Turchia, dove la legislazione permetteva  tale  tipo
    di adozioni, ma non indicava espressamente la possibilita'  della
    registrazione del nome della madre adottiva al  posto  di  quello
    della madre  biologica,  rimettendo  tale  discrezionalita'  alle
    corti (Gözüm c. Turquie, n. 4789/10, 20 aprile  2015).  La  Corte
    conferma il margine  di  apprezzamento  rimesso  agli  stati  nel
    bilanciamento e nella composizione  degli  interessi  concorrenti
    della madre biologica, della madre adottiva e del bambino, ma una
    protezione effettiva (in particolar modo  per  cio'  che  attiene
    all'interesse del minore,  considerato  preminente)  richiede  un
    quadro giuridico e legislativo chiaro. In mancanza,  l'incertezza
    giuridica esistente e' tale da provocare una situazione di  ansia
    e insicurezza in relazione all'identita' del  minore,  in  aperta
    violazione dell'art. 8 della Convenzione. Questi sono  i  confini
    dell'attuale  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
    dell'uomo in questa materia. 

(3) Si vedano, ex multis, Wagner contro Lussemburgo, n. 76240/01,  28
    giugno 2007, Mennesson c. Francia, n. 65192/11, 26 giugno 2014  e
    Labassee c. Francia, n. 65941/11, 26 giugno 2014. 

(4) Si vedano Di Lazzaro v. Italy, n. 31924/96.  Commission  decision
    of 10 July 1997,  and  X  v.  Belgium  and  the  Netherlands,  n.
    6482/74, Commission decision of 10 July 1975, Frette' v.  France,
    n. 36515/97, § 29. 

(5) Cfr. Perez c.  Francia  [GC],  n.  47287/99,  §  80,  Convenzione
    europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
    liberta' fondamentali 2004-1, e Albina c. Romania, n. 57808/00, §
    30, 28 aprile 2005. 

(6) Cfr., mutatis mutandis, Donadze c. Georgia, n. 74644/01, § 35,  7
    marzo 2006. 

(7) Si veda, in questo senso, il citato  tribunale  Min.  Venezia,  8
    giugno 2018, che afferma che: «Ritiene pertanto il Tribunale  che
    il novellato art. 74 del codice civile abbia tacitamente abrogato
    l'art. 55, legge n. 184/1983, nella parte in cui richiama  l'art.
    300, comma 2 del codice civile in quanto il riconoscimento di  un
    unico status di figlio parente, nel caso del minore adottato (con
    qualsiasi forma di adozione), e' incompatibile con il  fatto  che
    «l'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottato  e  i
    parenti dell'adottante» (cfr.  art.  300,  comma  2,  del  codice
    civile)». Ancora, nello stesso senso, tribunale Min. Bologna,  n.
    70/2020 del 25/06 - 3 luglio 2020, che eloquentemente ricorda che
    «si puo' - anzi si  deve  -  quindi  ritenere  che  la  legge  n.
    219/2012 abbia operato un'abrogazione tacita dell'art.  55  della
    legge n. 184/1983 nella parte in cui richiama l'art.  300,  comma
    2, ultimo periodo, soprattutto per ragioni di ordine  sistematico
    e di armonia formale [grassetto nostro] ...Invero, si tratterebbe
    di negare sul piano degli effetti giuridici cio' che avviene, con
    pienezza, sul piano delle relazioni  esistenziali,  pregiudicando
    le relazione del minore con la propria cerchia parentale  per  il
    solo  fatto  di  aver  fatto  ricorso  ad  un'adozione  in   casi
    particolari, che in molti casi ha tutti i crismi  di  un'adozione
    legittimante».